Le condizioni di detenzione

L’ultimo articolo dell’anno ho deciso di dedicarlo (rimandando ai rispettivi link) sia al corposo rapporto annuale dell’Osservatorio sulle condizione di detenzione, sia al rapporto dell’Osservatorio sugli Istituti Penali per Minorenni – entrambi frutto del lavoro di Antigone, Associazione autorizzata dal Ministero della Giustizia a visitare gli Istituti penitenziari italiani –, strumenti di conoscenza utili per chiunque abbia interesse all’ambito carcerario (mass media, studenti, oppure esperti di varia formazione). Per esempio, a proposito di lavoro e formazione professionale, come si legge nel rapporto sulle condizione di detenzione: «dalle nostre visite nei diversi istituti penitenziari italiani, il quadro che emerge in materia di lavoro e formazione professionale è assai variegato. Da un lato, troviamo situazioni virtuose in cui i detenuti svolgono tutti un’attività lavorativa (che sia alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria o per datori di lavoro diversi dal carcere), e all’estremo opposto istituti in cui le poche attività lavorative presenti sono quelle cosiddette domestiche alle dipendenze dell’amministrazione, come le pulizie, la cucina e la spesa. Discorso più complesso è quello che riguarda la formazione professionale che appare essere davvero carente in linea generale». Consulta il documento ufficiale.

Invece, con riguardo all’Istituto Penale per i Minorenni di Milano “Beccaria”, a proposito dei “nodi identificativi e problematici”, nel rapporto si legge che «il Beccaria non sembra più l’IPM-modello che era stato in passato. Esempio di un ottimo dialogo tra dentro e fuori, complice un contesto molto  recettivo e fertile come quello milanese. Anzi, colpisce il contrasto tra un quartiere intorno all’IPM in rapidissima espansione e un istituto ancora alla prese (dopo 15 anni) con una ristrutturazione eterna di cui ancora non si vede la fine. Il cantiere a cielo aperto che interessa buona parte dell’IPM è sintomatico di un istituto in eterna transizione, con una direzione “a scavalco” con altri istituti e la scelta di trasformare il Centro di prima accoglienza in reparto isolamento Covid. Piuttosto ambigua la gestione degli spazi detentivi attigui all’infermeria. Si tratta di celle chiuse e più anguste di quelle dei reparti ordinari che ospitano ragazzi non solo per ragioni sanitarie ma anche disciplinari e di mera organizzazione degli spazi. Le tante attività trattamentali proposte faticano a tradursi in percorsi significativi di inserimento lavorativo. Colpisce l’impegno di risorse umane e materiali da parte degli enti locali, unicum a livello nazionale». Ed ancora: «il clima detentivo appare piuttosto teso, nei due gruppi di “trattamento” in cui è organizzato l’istituto si percepiscono dinamiche volte ad enfatizzare la leadership di alcuni a scapito di altri, ma anche un percepibile livello di apatia e assenza da parte di numerosi ragazzi». Consulta il documento ufficiale.

Criminologia Penitenziaria (ISSN 2704-9094 Online). Numero 16E22 del 28/12/2022

Tecnologia e licenziamenti

Il caso odierno riguarda un lavoratore portoghese licenziato sulla base di un accertamento del suo comportamento effettuato dal datore di lavoro attraverso un dispositivo GPS (Global Positioning System). Ebbene, posto che ogni storia giudiziaria è diversa da tutte le altre, la sentenza oggi in esame giunge dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che ha ritenuto legittimo il licenziamento di un lavoratore sottrattosi all’onere di rimborso delle spese spettanti al datore di lavoro.

La questione giuridica presa in considerazione è se i giudici nazionali del Portogallo abbiano correttamente valutato il conflitto dei diritti contrapposti, cioè da una parte il diritto del lavoratore al rispetto della sua vita privata e dall’altra il diritto del datore di lavoro «al corretto funzionamento della sua attività, compreso il diritto di controllare le spese derivanti dall’uso dei suoi veicoli».

Ciò premesso, il licenziamento del lavoratore fu ritenuto legittimo in tutti i gradi di giudizio nelle sedi giurisdizionali portoghesi, sicché, infine, avendo l’interessato presentato ricorso alla Corte EDU, i giudici di Strasburgo – pur con risicata maggioranza, quattro voti contro tre, dopo aver ricordato che la nozione di “vita privata” è ampia e non si presta ad una definizione esaustiva, coprendo l’integrità fisica e morale di una persona e molteplici aspetti della sua identità fisica e sociale – hanno rilevato che il dispositivo GPS era stato installato sul veicolo che l’azienda aveva messo a disposizione del lavoratore per i suoi viaggi di lavoro, ma autorizzato anche all’uso del veicolo per fini privati a condizione che le spese relative ai chilometri percorsi per spostamenti privati fossero rimborsate al datore di lavoro. È inoltre emerso che il ricorrente aveva firmato il documento predisposto dal datore di lavoro che riguardava l’installazione di tale dispositivo e le ragioni di tale misura, specificando – stante il diritto di controllo delle spese – sull’avvio di un procedimento disciplinare nei confronti di «qualsiasi dipendente in caso di incongruenze tra i dati chilometrici forniti dal GPS e le informazioni fornite dai dipendenti».

Cosicché, chiosano i giudici della Corte EDU rispetto alle doglianze del lavoratore, non vi è stata né violazione dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (diritto al rispetto della vita privata e familiare), né dell’art. 6 della medesima Convenzione (diritto ad un processo equo), allorché il ricorrente sostenne che la procedura relativa al suo licenziamento si era basata solo sulla raccolta illegittima dei dati di geolocalizzazione accolti dai giudici nazionali. Mentre, al contrario, dalle sentenze si evince che il licenziamento non si è basato unicamente sui dati di geolocalizzazione contestati «ma su un corpus di prove, tra cui il fascicolo del procedimento disciplinare, la relazione tecnica della società informatica» e le dichiarazioni testimoniali (Corte EDU, Strasburgo, dicembre 2022).

Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 20A22 del 21/12/2022

La sociologia sovranazionale

Il titolo completo del volume è “La sociologia sovranazionale di Roberto Cipriani”, a cura di Costantino Cipolla, edizioni Franco Angeli, Milano, 2021, e “contiene numerosi contributi di eminenti studiosi che hanno avuto un ruolo internazionale di primo piano, sia con le loro ricerche che con le loro pubblicazioni, impegnandosi anche in attività organizzative e promozionali delle discipline sociologiche. In tali vesti hanno potuto sperimentare l’apporto offerto da Roberto Cipriani in qualità di sociologo sovranazionale, volto a far apprezzare l'approccio scientifico italiano riguardante le maggiori problematiche sociali”. Il video che segue ripropone la presentazione del volume che si è tenuta a Roma, venerdì 16 dicembre 2022, presso l’Istituto Luigi Sturzo.

Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 19A22 del 18/12/2022


Responsabilità del blogger

Concorre nel reato di diffamazione il blogger che consapevole della presenza di un commento offensivo pubblicato sulla sua piattaforma non lo rimuove quanto prima. Nel caso in esame, la Corte di Appello confermava la condanna in primo grado dell’imputato «alla pena di giustizia ed al risarcimento del danno per il reato di diffamazione, consistita nel consentire che venisse pubblicato e permanesse nel suo blog personale il commento di un utente non identificato» dove si accusava di vicinanza alla mafia alcune persone.

Sicché, «inquadrato in fatto la figura dell’amministratore del blog come soggetto che gestisce un mezzo che consente a terzi di interagire in esso tramite la pubblicazione anche in forma anonima di contenuti, commenti, considerazioni o giudizi e che il blog, pur essendo strumento di informazione non professionale» è comunque «idoneo a divulgare quegli stessi contenuti tra un vasto pubblico di utenti, che hanno, per le stesse caratteristiche del mezzo, la possibilità di accedervi liberamente», ne consegue che «la condotta contestata all’imputato ricade nella previsione incriminatrice del reato di diffamazione aggravata in quanto consumato con strumenti di pubblicità via internet». Su tali presupposti, quindi, anche «l’account personale di facebook diventa una pubblica piazza virtuale aperta al libero confronto, anche se solo tra gli utenti registrati, come in caso di un forum chiuso».

Perciò, non essendo i gestori di siti internet, blog e simili equiparabili ai direttori responsabili dei giornali, la responsabilità del fatto loro contestato deve «essere ricostruita in base alle comuni regole del concorso nel reato, oltre che per attribuzione diretta, qualora l’autore dello scritto denigratorio pubblicato sul blog sia il medesimo gestore».

E dunque, nel caso di specie, si è «delineata la possibile attribuibilità della diffamazione a titolo di concorso, individuato nella consapevole condivisione del contenuto lesivo dell’altrui reputazione, con ulteriore replica della offensività realizzata tramite il mantenimento consapevole sul blog dello scritto diffamante», e che «la mancata tempestiva attivazione del gestore del blog nella rimozione di proposizioni denigratorie costituisca adesione volontaria ad esse, con l’effetto a questo punto voluto di consentirne l’ulteriore divulgazione».

Infine, anche dal punto di vista dell’ipotesi difensiva circa la non punibilità per particolare tenuità della condotta dell’imputato, la stessa è stata esclusa in quanto i fatti contestati sono stati «giudicati di non modesto impatto, dando quindi conto della mancata esiguità del danno prodotto dal reato» (Cass. V Pen. Sent. 45680/22).

Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 18A22 del 10/12/2022

Differimento della pena

Quando il carcere appare come la soluzione migliore! Giustizia, pena e utilità del carcere. Un dibattito complicato che incontra e si scontra con populismo e demagogia che di fatto ostacolano il cambiamento reale ed efficiente dell’attuale sistema punitivo.

Ebbene, a mio avviso, il caso oggi in esame pone ulteriori questioni rispetto a quelle ordinarie di discussione. Infatti, in tema di differimento facoltativo della pena per motivi di salute nelle forme della detenzione domiciliare, il Tribunale di sorveglianza ha rigettato la richiesta di proroga del medesimo beneficio sia con riguardo al quadro sanitario compromesso del soggetto in espiazione pena, soprattutto sotto il profilo psichiatrico, peraltro assolto per «vizio totale di mente in ordine al reato di atti persecutori»; sia per l’inadeguatezza dell’immobile indicato per le espiazione detentiva domiciliare a causa delle condizioni di abbandono del medesimo; sia perché l’interessato non è nemmeno in grado di prendersi cura di sé con tendenza a gestire l’assunzione di farmaci in modo improprio sotto il profilo delle esigenze e dei dosaggi.

Ricorre il condannato per cassazione lamentando che il Tribunale di sorveglianza avrebbe trascurato di attribuire la giusta rilevanza al suo compromesso stato di salute e che comunque l’immobile nel quale stava trovando esecuzione la misura alternativa alla detenzione era fornito sia di energia elettrica sia di idonea struttura idrica.

Ricorso dichiarato inammissibile, in quanto per il «differimento facoltativo della pena detentiva o di concessione della detenzione domiciliare per grave infermità fisica, è necessario che la malattia da cui è affetto il condannato sia grave, cioè tale da porre in pericolo la vita o da provocare rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere un trattamento che non si possa facilmente attuare nello stato di detenzione, operandosi un bilanciamento tra l’interesse del condannato ad essere adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività».

Ciò posto, preso atto dell’incapacità della persona interessata di «provvedere a se stessa (come era stato già confermato dal giudice della cognizione, che aveva accertato un vizio totale di mente) e dell’inidoneità dell’abitazione nella quale eseguire la misura alternativa alla detenzione», il Tribunale di sorveglianza ha ritenuto che, allo stato, la detenzione in carcere costituisse «la soluzione più adeguata ad assicurare una migliore assistenza complessiva alla condannata, in assenza di altro luogo idoneo» (Cass. Sez. I Pen. Sent. 45183/22).

Criminologia Penitenziaria (ISSN 2704-9094 Online). Numero 15E22 del 02/12/2022

Fenomeni globali

Dalla pandemia, alla guerra in occidente, al nuovo ordine mondiale (o viceversa). Una sequenza di eventi non necessariamente imprevisti, imprevedibili ed inaspettati. Sicché, citando Luigi Ferrajoli, “esistono problemi globali che non fanno parte dell’agenda politica dei governi nazionali, anche se dalla loro soluzione dipende la sopravvivenza dell’umanità”. Si pensi, come egli ricorda, al riscaldamento climatico, al pericolo di conflitti nucleari, alle disuguaglianze, alla morte di milioni di persone per mancanza di alimentazione e di farmaci salvavita, nonché alle migliaia di migranti in fuga dai loro territori. Tuttavia, prosegue l’illustre giurista, sussiste un’alternativa istituzionale e politica per gestire tutto questo, la realizzazione di una “Costituzione della Terra”.

Su questa breve introduzione e con riferimento al concetto oggi molto dibattuto di nuovo ordine mondiale, seppur con una terminologia più sottile, l’argomento trova le sue radici all’indomani del secondo conflitto mondiale e proprio nei lavori preparatori della nostra Carta costituzionale, a proposito delle discussioni che porteranno alla elaborazione dell’articolo 11 sul ripudio alla guerra.

Infatti, era l’8 marzo del 1947, in Assemblea Costituente, nel prosieguo della discussione generale del progetto di Costituzione della Repubblica italiana, quando il deputato Ugo Damiani (1899-1992), iscritto al gruppo parlamentare misto, a proposito di condizioni di “reciprocità e di uguaglianza”, nonché delle “limitazioni di sovranità necessarie ad una organizzazione internazionale che assicuri la pace e la giustizia fra i popoli”, ebbe così ad affermare: “potrà effettuarsi subito questa organizzazione? Non si vedono i lineamenti, nel momento presente, di questa determinazione, come fatto immediato, ma si può essere certi che questa organizzazione internazionale avverrà, perché è logica, perché è nella logica delle cose, perché è nella evoluzione naturale degli eventi, perché o il mondo si organizza in modo da essere retto da un Governo mondiale o il mondo andrà incontro alla distruzione, in quanto, se ci sarà una nuova guerra mondiale, questa si farà con le terribili armi che purtroppo la scienza ha creato in questi ultimi tempi e che non ammettono difesa alcuna. Noi dunque questa luminosa aspirazione l’abbiamo accolta, l’abbiamo interpretata, e l’abbiamo sintetizzata in un articolo e posta qui nella Costituzione come una gemma preziosa di questa legge fondamentale”.

Ebbene, ho pensato di offrire questo breve spunto di riflessione come sorta di sponda rispetto ai verosimili buoni propositi degli attori politici di ieri rispetto a quelli fortemente discutibili di oggi, in modo che ogni lettore possa confrontare l’attualità con ciò che accadeva oltre settant’anni fa all’indomani delle note vicende.

Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 17A22 del 20/11/2022

Come mine vaganti

Oggi propongo una lettura dal titolo “come mine vaganti”, di Sandro Ursini (2022), per meglio dire, utilizzando le sue stesse parole, una “Raccolta di poesie” che, come egli precisa, nonostante “nella vita vera” si occupa d’altro, scrive per il “gusto di rendere eterni i suoi sentimenti e condividerli con quanti li comprendano”. Ebbene, perché, quindi, ho deciso di dedicare questa breve presentazione ad una raccolta di poesie che sembrano nascere da stimoli del tutto personalistici? Una risposta potrebbe essere – forse la più banale e la meno condivisibile – perché l’autore è una persona amica che conosco da decenni, con il quale condivido, con incommensurabile orgoglio, così come si descrive, “le mie umili origini”. E chissà se a volte, mi permetto di aggiungere, non siano proprio le umili origini a generare interessanti carriere.

Tuttavia, non è questo il punto. Infatti, credo che seppur gli stimoli che hanno ispirato l’autore siano, verosimilmente, di natura personalistica, altrettanto, a mio modesto parere, non necessariamente lo sono gli spunti dal medesimo forniti, descritti e circoscritti; vale a dire, scrive: una rappresentazione “rivolta al sociale” e “con uno sguardo attento in favore delle donne, degli emarginati, degli uomini liberi, oppure liberi solo nei sogni”.

Sicché, sono questi anzidetti brevi richiami che mi convincono a dare giusto spazio su questa rivista al testo in esame, proprio perché l’autore fa riferimento a temi di levatura sociologica che tratto oramai da anni nei miei scritti ed in aula con i miei studenti, non a caso con specifico riferimento al rispetto dei diritti inalienabili della persona che nulla e nessuno ha il diritto di mettere in discussione al punto da renderli, o comunque tentare di renderli, reversibili. E dunque anche con riferimento al concetto di libertà (positiva e negativa) secondo un’analisi filosofica e giuridico-costituzionale.

Tornerò su questi concetti in maniera più approfondita con separata pubblicazione, per ora mi limito a citare Hobbes, quando si espresse sul principio libertas silentium legis, ovvero che non tutti i comportamenti dei cittadini possono essere regolati dalla legge, e dunque “vi saranno necessariamente infinite attività che non risulteranno né comandate né proibite, e che ciascuno potrà svolgere o non svolgere a suo arbitrio”. Oppure, che “ogni atto della libertà umana e ogni desiderio procedono da una qualche causa, e questa da un’altra, in una catena continua”. Ma non da ultimo: al “coraggio di servirti del tuo proprio intelletto”, che Kant cita a proposito della “libertà di fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi”. Ed ancora, come non ricordare, altrettanto brevemente, Locke, rispetto al fatto che tutti gli esseri umani nascono liberi e solo per propria volontà cedono il loro potere allo Stato, purché esso ne salvaguardi la sicurezza e le libertà.

Cosa aggiungere, dunque, se non il link per l’acquisto del libro ed al profilo del suo autore.

Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 16A22 del 10/11/2022

Diritto penitenziario e Costituzione

Con piacere segnalo che è aperta la procedura di ammissione/iscrizione alla DECIMA edizione del Master di II Livello in “Diritto penitenziario e Costituzione”, realizzato in convenzione tra il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Roma Tre ed i Dipartimenti dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) e per la Giustizia Minorile e di Comunità (DGMC).

L’obiettivo del Master è quello di fornire una elevata preparazione nell’ambito degli studi penitenziari, con una particolare attenzione ai profili costituzionalistici che interessano l’esecuzione penale. Direttore del Master è il Prof. Marco Ruotolo (Ordinario di Diritto costituzionale dell’Università degli Studi di Roma Tre), mentre la Coordinatrice didattico-scientifica è la Dott.ssa Silvia Talini (Ricercatrice di Diritto costituzionale presso il medesimo Ateneo).

Il Corso avrà inizio nel mese di gennaio 2023 e terminerà nel mese di settembre e si articolerà nei seguenti moduli: 1) La funzione restaurativa della pena; 2) Diritto penitenziario e sistema delle fonti; 3) Il sistema dell’esecuzione penale in cambiamento; 4) I diritti nell’esecuzione penale; 5) Le diverse forme di tutela dei diritti; 6) Sicurezza ed esecuzione penale – Escursioni didattiche; 7) Oltre il carcere: misure alternative e di  comunità – Escursioni didattiche; 8) Visita all’Istituto Penale per Minorenni di Nisida; 9) Management e coprogettazione; 10) Cultura e carcere; 11) Gli incontri del Master – Archivio; 12) Convegno conclusivo e discussione degli elaborati finali. Il programma del Corso sarà integrato da seminari, convegni ed altre iniziative di studio promosse dal Master. La didattica comprenderà anche un modulo aggiuntivo dedicato alla Spring School del Centro di Ricerca European Penological Center a Ventotene – S. Stefano.

La quota di iscrizione è di euro 3.600 e la domanda di ammissione deve essere presentata entro il 22 gennaio 2023, esclusivamente online accedendo alla propria area riservata con le stesse credenziali di accesso fornite all’atto della registrazione ai servizi online.

Tuttavia, per contattare la Segreteria del Master e per ottenere maggiori informazioni circa il bando di ammissione, il calendario delle lezioni, il regolamento didattico ed altro ancora rimando al sito istituzionale www.dirittopenitenziarioecostituzione.it

Criminologia Penitenziaria (ISSN 2704-9094 Online). Numero 14E22 del 20/10/2022


Il diritto allo studio in carcere

Il diritto allo studio è tale in quanto garantito dalla Costituzione, sicché, almeno in gran parte dei casi, assume posizione di rango superiore rispetto ad altre esigenze. Il caso oggi in esame riguarda un’ordinanza del Magistrato di sorveglianza – adito da un detenuto ristretto in regime speciale ex art. 41-bis ordinamento penitenziario – che ha ordinato alla Casa circondariale l’esatta ottemperanza rispetto ai contenuti di un precedente provvedimento, disponendo che a completa garanzia del diritto allo studio del detenuto fosse lui consentito «di tenere presso di sé tutti i libri di cui avesse bisogno» per le incombenze di studio «senza limitazioni numeriche predefinite». A tale ordinanza si oppose il Ministero della Giustizia, adducendo, per quanto qui ci occupa, che il numero illimitato dei libri richiesti per uso studio dal detenuto «si pone in contrasto col regime custodiale cui lo stesso è sottoposto», anche perché attualmente, rispetto al passato, è prevista «la disponibilità in camera detentiva di un numero di quattro volumi per volta, da potere aumentare secondo le esigenze didattiche e il prudente apprezzamento della Direzione».

Pertanto, avendo la Direzione del carcere consentito di tenere un numero di libri di quasi quattro volte maggiore a quello previsto, il provvedimento del Magistrato stravolgerebbe «il regime carcerario sulla base di una supposta ottemperanza ad un provvedimento già a suo tempo eseguito». Inoltre, prosegue il ricorso, il Magistrato di sorveglianza «a fronte del numero certamente congruo di libri messi nella disponibilità del detenuto, nell’ampliarlo ulteriormente non tiene conto delle esigenze di sicurezza interna ed esterna sottese al regime differenziato».

Ebbene, secondo i giudici di legittimità il ricorso è infondato. Infatti: «il provvedimento oggetto di ottemperanza ha affermato la sussistenza di una manifestazione di diritto soggettivo operante in ogni istituto penitenziario, consentendo, a garanzia del diritto allo studio dell’interessato, la possibilità di tenere presso di sé tutti i libri di cui avesse bisogno per l’incombente di studio che a volta a volta lo occupasse, senza limitazioni numeriche predefinite». E rileva come si imponga l’esatta ottemperanza ai contenuti del precedente provvedimento che «con riguardo al numero di testi che il condannato può tenere presso di sé, non lo fissa ma lo funzionalizza alle esigenze di studio che di volta in volta si appalesino». Poi, il detenuto «potrà conservare i volumi presso la stanza detentiva o anche nell’apposita bilancetta esterna alla sua camera a scelta, con facoltà per l’amministrazione di prevedere dei limiti massimi al numero di libri che l’interessato può tenere contemporaneamente nella camera detentiva, invece che nella bilancetta (e, quindi, non comunque depositati al magazzino, con le conseguenti difficoltà di scambio) per evitare che dall’ingombro derivi un concreto pericolo di non poter effettuare adeguatamente i controlli ordinari all’interno della camera» (Cass. Pen. Sez. I, Sent. 34855/22).

Criminologia Penitenziaria (ISSN 2704-9094 Online). Numero 13E22 del 03/10/2022

La partecipazione politica

La partecipazione politica e la natura del corpo elettorale. Riflessioni sul diritto di voto ed il suo esercizio come dovere civico.

Qualche anno fa, correva l’anno 2015, pubblicavo un saggio dal titolo “Lo Stato moderno. Diritti, politica e cittadinanza”, nel quale, oltre a tutta una serie di riflessioni, richiamavo il principio sostenuto dal politologo statunitense Robert Dahl (1915-2014) secondo cui si può parlare di pieno ed effettivo riconoscimento dei diritti politici solo quando l’elettorato attivo e passivo è posto nella condizione di esercitarli in elezioni libere, cioè senza condizionamenti; pluralistiche, vale a dire partecipate da più liste in competizione; ricorrenti, ovvero svolte periodicamente con scadenza prestabilita per legge.

Ebbene, oggi, con il presente contributo, intendo aggiungere un particolare che se fino a qualche anno fa aveva senza dubbio una certa rilevanza, adesso, secondo un certo pensiero critico verso chi ha governato il nostro Paese negli ultimi due anni – emanando provvedimenti a dir poco discutibili da ogni punto di vista, con l’assenso nemmeno tanto latente delle opposizioni –, credo che tale rilevanza si sia elevata ai massimi livelli. Mi riferisco al fenomeno dell’astensionismo alle elezioni politiche, inevitabilmente legato all’esercizio di voto inteso come dovere civico ai sensi del secondo periodo del secondo comma dell’articolo 48 della Costituzione.

Tuttavia, se in tali casi di violazione del dovere civico trattasi, a mio avviso sorge più di una domanda. Per esempio: può essere messo sullo stesso piano chi non si reca alle urne per mero menefreghismo, sciatteria, imperizia, irriverenza od altro, con chi decide scientemente di non recarsi alle urne perché ritiene non essere rappresentato da nessuno dei partiti, liste e coalizioni in competizione? Ed inoltre: che dire poi di chi si reca alle urne e nella segretezza del voto, costituzionalmente garantita, decide di annullare la propria scheda elettorale scrivendoci sopra epiteti di ogni genere, oppure restituirla in bianco? Perciò: se chi decide di non recarsi alle urne perché non ha fiducia di nessuno dei candidati politici viola un dovere, coloro degli altri esempi poco sopra, come dovrebbero essere definiti?

Una questione da poco conto? Non proprio... Prosegui qui la lettura.

Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 15A22 del 19/09/2022

Religione e diritti fondamentali

Il presente elaborato, senza pretesa di esaustività, e comunque parte integrante di un lavoro più ampio ed articolato in fase di sviluppo, prende spunto da alcune riflessioni sorte a seguito della lettura di alcuni testi del sociologo, politico e saggista Magdi Cristiano Allam, in particolare quello dal titolo “Stop Islam” (2020), nonché altri suoi saggi sullo stesso tema.

In verità, non è che prima non ho avuto modo di trattare il fenomeno religioso nel suo insieme dal punto di vista delle relazioni interetniche e del principio costituzionale per cui “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume” (cfr. Art. 19 Cost.); tuttavia, le parole e soprattutto le convinzioni di Magdi non mi lasciano affatto indifferente. E questo specie se si tiene conto dei recenti fatti riguardanti il tentato omicidio dello scrittore Salman Rushdie, colui verso il quale più di trent’anni fa, accusato di blasfemia in danno dei musulmani e del loro messaggero spirituale Maometto, fu emessa una cosiddetta “fatwa”, ovvero una sentenza islamica basata sulla “sharia”, cioè la legge coranica che vincola tutti i fedeli che credono nell’autorità religiosa che la pronuncia ad eseguirla in ogni luogo, tempo e modo. Questione a dir poco spinosa su cui Cristiano Magdi ha ulteriormente scritto molto, comunque sottolineando il fatto che i musulmani come persone vanno rispettati, ma non la stessa cosa riguardo l’islam come religione, in quanto i suoi precetti sono del tutto incompatibili con le leggi laiche di uno Stato di diritto al punto, come precisa nel libro, dovremmo metterla fuori legge all’interno del nostro Stato.

Ebbene, in questa sede non entro nel merito circa le specifiche critiche che molti sollevano alla tesi di Magdi, soprattutto a chi sostiene l’inverosimiglianza della stessa e soprattutto all’impraticabilità dal punto di vista costituzionale, ma alcune domande le pongo, e cioè: tali critiche, tengono conto di tutto il contenuto del cosiddetto testo sacro dell’islam (il Corano), oppure si limitano a circoscrivere la questione al sopra citato dettato di cui l’articolo 19 della Costituzione italiana? In altri termini: chi non condivide le asserzioni di Cristiano Magdi, ha mai letto il Corano dalla prima all’ultima pagina? Perché se lo ha letto veramente, chissà se almeno qualche dubbio potrebbe porselo circa la validità delle convinzioni di Magdi. Prosegui qui la lettura.

Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 14A22 del 02/09/2022

Sociologia e musica

La disco music compie mezzo secolo. È di questi giorni la notizia riportata da alcuni media circa il cinquantennale della disco music, ancora molto amata non solo da chi l’ha vista nascere, ma anche dalle generazioni successive, fino ad oggi. Si narra che la disco music sia nata agli inizi dell’autunno del 1972, con il brano Superstition di Stevie Wonder. Di lì a breve seguiranno molti altri artisti con brani che tuttora si distinguono, musicalmente parlando, per le grandi emozioni che suscitano.

Non è un caso, credo, se pochi anni fa una nota emittente radiofonica, Radio Capital, per celebrare il ventesimo anno di attività organizzò a Roma il concerto di Nile Rodgers & Chic. Quel Nile Rodgers fondatore degli Chic insieme al bassista Bernard Edwards (prematuramente scomparso), che all’epoca contribuirono a trasformare lo scenario musicale mondiale. Gli Chic irruppero sulla scena con quella loro musica e ritmo da fare inebriare milioni di giovani. Ma non solo loro, si pensi anche al gruppo KC and the Sunshine Band, dal tipico abbigliamento sgargiante, anch’essi tra i massimi esponenti del fenomeno della disco music, spesso ricordati per il singolo Shake Your Booty, oppure il brano Get Down Tonight.

Ebbene, domanda: quanto la società è sensibile nel subire influenze non solo attraverso enunciati espliciti, ma anche per mezzo di strumenti comunicativi diversi rispetto a quelli che possiamo definire usuali? Suscettibilità che nel corso della storia, a volte, hanno avuto esito positivo per la crescita culturale e maturazione dei diritti fondamentali; così come, altre volte, hanno portato a vere catastrofi umane.

Per Platone è scontata la suggestione della musica sulla psiche umana, definendo che una determinata melodia prodotta in un certo ambito di relazioni fra suoni rifletta in modo automatico una suggestione. Per Sant’Agostino, invece, la musica era considerata un mezzo in più per arrivare alle magnifiche meraviglie dell’infinito.

Ma la musica è riuscita a stimolare emozioni in soggetti tutt’altro che afferenti alle magnifiche meraviglie dell’infinito citate da Sant’Agostino, credo mi basti citare il Führer dell’improbabile Terzo Reich millenario, particolarmente suggestionato dalla musica wagneriana. Si narra infatti che Hitler ordinò che all’annuncio della sua morte venisse trasmesso il Gottesdaemnerung di Wagner.

In sintesi, interessarsi alla musica dal punto di vista sociologico significa intraprendere un percorso di comprensione del complesso ed articolato rapporto tra i linguaggi musicali e la realtà sociale in cui e per cui essi hanno origine e sono poi espressi, con particolare riferimento proprio al mutamento di quel dato contesto sociale e momento storico.

Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 13A22 del 28/08/2022


La fede incerta in Italia

Oggi propongo il testo di Roberto Cipriani – professore emerito di Sociologia all’Università Roma Tre, dove è stato Direttore del Dipartimento di Scienze dell’Educazione – dal titolo “L’incerta fede. Un’indagine quanti-qualitativa in Italia”, edito da Franco Angeli, Milano, data di pubblicazione dicembre 2020, nella collana “Laboratorio sociologico. Ricerca empirica”. Nella descrizione del libro si legge che “dopo venticinque anni dalla ricerca su La religiosità in Italia di Vincenzo Cesareo, Roberto Cipriani, Franco Garelli, Clemente Lanzetti e Gianfranco Rovati (Mondadori, Milano, 1995), questa nuova indagine presenta una rilevante novità: l’approccio non è stato solo quantitativo (mediante somministrazione di un questionario a un campione statisticamente rappresentativo dell'intera popolazione italiana, costituito da 3238 intervistati, di cui dà conto in particolare Franco Garelli nel suo Gente di poca fede. Il sentimento religioso nell’Italia incerta di Dio, il Mulino, Bologna, 2020), ma ha avuto anche un carattere qualitativo, attraverso interviste del tutto libere oppure semiguidate a un insieme di 164 soggetti, opportunamente scelti sul territorio nazionale (seguendo criteri non lontani dal quadro demografico complessivo). Ne risulta uno scenario assai variegato e intrigante che attesta la persistenza di forme di credenza e ritualità, ma apre anche prospettive problematiche sul futuro della fede. Sono esaminati soprattutto i temi della vita quotidiana e festiva, della felicità e del dolore, della vita e della morte, della rappresentazione di Dio, della preghiera, dell’istituzione religiosa e di papa Francesco”.



Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 12A22 del 17/08/2022

Ferragosto nelle carceri

Ancora suicidi nelle carceri italiane: “L’estate, come spesso accade, si dimostra il momento più critico dell’anno per gli istituti penitenziari. In questo 2022 è reso ancora più doloroso dal drammatico incremento dei suicidi. Ciascun episodio interroga le nostre coscienze di uomini e di operatori del sistema penitenziario su quanto è stato fatto finora e su quanto sia ancora necessario fare. Per questo, insieme ai miei più stretti collaboratori, al Vice Capo, ai Direttori generali del Dap e ai Provveditori regionali abbiamo avvertito l’esigenza di visitare degli istituti penitenziari anche nel giorno di Ferragosto. Vogliamo portare un segnale di vicinanza all’intera comunità penitenziaria e ribadire riconoscenza al personale in servizio”.

Queste le parole del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Carlo Renoldi, che il giorno di Ferragosto visiterà la Casa circondariale femminile e la Casa di reclusione di Roma Rebibbia. Contestualmente, nell’istituto di Viterbo si recherà il Vice Capo Carmelo Cantone, anche in rappresentanza del Provveditorato del Lazio, Abruzzo e Molise. A Palermo Ucciardone e Messina saranno presenti, rispettivamente, i direttori generali dei Detenuti e Trattamento Gianfranco De Gesu e del Personale e Risorse Massimo Parisi. A Genova Marassi sarà invece presente Pietro Buffa, direttore generale della Formazione e provveditore per la Lombardia. Il provveditore per la Puglia e la Basilicata Giuseppe Martone sarà nell’istituto penitenziario di Lecce, mentre in quello di Taranto andrà il provveditore per il Piemonte, la Liguria e la Valle d’Aosta Rita Russo. Nella Casa circondariale di Palermo Pagliarelli si recherà il provveditore per la Sicilia Cinzia Calandrino. Mentre a Terni il provveditore per la Toscana e l’Umbria Pierpaolo D’andria. Il provveditore per la Campania Lucia Castellano visiterà gli istituti di Napoli Poggioreale e Santa Maria Capua Vetere. Per l’Emilia Romagna e le Marche due dirigenti delegati dal Provveditore Gloria Manzelli saranno, rispettivamente, negli istituti di Bologna e Modena e di Ancona e Pesaro. La Casa circondariale di Aosta sarà visitata dal Provveditore del Triveneto Maria Milano Franco D’Aragona, che a sua volta ha delegato un funzionario a recarsi nell’istituto di Udine. Il Provveditore per la Sardegna Maurizio Veneziano invierà un suo delegato a visitare l’istituto di Oristano. Infine il Provveditore per la Calabria Liberato Guerriero sarà nella Casa circondariale di Ariano Irpino. (Fonte: Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria).

Criminologia Penitenziaria (ISSN 2704-9094 Online). Numero 12E22 del 12/08/2022

Il Governo dei Giudici

Il noto giurista Sabino Cassese presenta il suo libro dal titolo “Il Governo dei Giudici”. L’evento è condotto dall’ex ministro Giorgio La Malfa che converserà con l’autore. L’iniziativa è stata video registrata e pubblicata da Radio Radicale domenica 31 luglio 2022. Il libro, edito da Laterza, illustra, come si legge nella descrizione, la peculiarità della situazione della giustizia in Italia: “Da un lato si assiste a una dilatazione del ruolo dei giudici, dall’altro a una crescente inefficacia del sistema giudiziario. Molti osservatori concordano sul fatto che la magistratura sia diventata parte della governance nazionale; che vi sia una indebita invasione della magistratura nel campo della politica e dell’economia; che in qualche caso la magistratura cerchi persino di prendere il posto della politica, controllando anche i costumi, oltre ai reati, proponendosi finalità palingenetiche delle strutture sociali, stabilendo rapporti diretti con l’opinione pubblica e con i mezzi di comunicazione. In questo contesto, le procure hanno acquisito un posto particolare, tanto che molti esperti parlano di una Repubblica dei PM, divenuti un potere a parte, con mezzi propri, che si indirizzano direttamente all’opinione pubblica, avvalendosi della favola dell’obbligatorietà dell’azione penale, utilizzando la cronaca giudiziaria come mezzo di lotta politica e trasformando l’Italia in una Repubblica giudiziaria”.

Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 11A22 del 02/08/2022

Il diritto ad avere diritti

Nell'anno 2018 pubblicai il libro dal titolo “Il diritto ad avere diritti. Dall’illuminismo all’ergastolo ostativo” (Morlacchi, Perugia), nel quale, tra altro, a proposito delle disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto (D.Lgs 28/2015), invitavo «a riflettere anche su un altro aspetto (...), vale a dire che ci si dovrebbe interrogare al fine di trovare soluzioni (...) nei casi in cui (...) nessuno “paga” per i propri reati (...). Vedasi l’esempio della non punibilità per particolare tenuità dell’offesa». Ed in taluni casi, sorge la domanda: «come può un legislatore (...) che ha a cuore l’interesse collettivo, stabilire per legge la non punibilità dal punto di vista della condanna penale di un soggetto già presupponendo che certi devianti non risponderanno mai per le loro malefatte nemmeno in termini di risarcimento economico del danno?» (cfr. Il diritto ad avere diritti. Dall’illuminismo all’ergastolo ostativo, pp. 125-126).

Ebbene, oggi, a distanza di anni da quelle ed altre mie modeste considerazioni, la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 538 del codice di procedura penale «nella parte in cui non prevede che il giudice, quando pronuncia sentenza di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131-bis del codice penale, decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno proposta dalla parte civile». Infatti: «la regola generale, posta dall’art. 538 cod. proc. pen., non deflette, non consentendo al giudice penale di pronunciarsi anche sulla pretesa risarcitoria o restitutoria della parte civile. Ciò rende la norma censurata contrastante con il principio di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.), per l’argomento a fortiori che può trarsi dalla comparazione con le fattispecie in cui non c’è l’absolutio ab instantia pur in mancanza di siffatto accertamento, vuoi perché il giudice penale è chiamato a pronunciarsi sulla domanda risarcitoria (o restitutoria) civile anche se non vi è una condanna penale, vuoi perché il giudizio prosegue comunque per la definizione anche solo delle pretese civilistiche; essa inoltre si pone in violazione del diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24, secondo comma, Cost.), nella specie della parte civile, la quale subisce la mancata decisione in ordine alla sua pretesa risarcitoria (o restitutoria) anche quando essa appare fondata e meritevole di accoglimento proprio in ragione del contestuale accertamento, ad opera del giudice penale, della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e della riferibilità della condotta illecita all’imputato nel contesto del proscioglimento di quest’ultimo ex art. 131-bis cod. pen. Infine, essa collide con il canone della ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, Cost.) a causa dell’arresto del giudizio che ne deriva, quanto alla domanda risarcitoria (o restitutoria), con soluzione di continuità rispetto a un nuovo giudizio civile, del cui promovimento è onerata la parte civile, anche solo per recuperare le spese sostenute nel processo penale» (Corte cost. Sent. 173/22).

Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 10A22 del 14/07/2022

Privazione della libertà personale

Presentata la Relazione annuale al Parlamento da parte del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale. Il Garante ha illustrato la Relazione tenendo conto del percorso dell’Autorità di garanzia inizialmente percepita come circoscritta al solo carcere, ma col passare del tempo sempre più riconosciuta come punto di riferimento per le persone migranti presenti nei centri per il rimpatrio, le persone ospitate nei servizi psichiatrici ospedalieri, fino alle persone dell’ambito residenziale per anziani o per disabili.

Sicché, il «percorso ha riguardato anche il sempre maggiore riconoscimento da parte delle Istituzioni dello Stato e degli Organi di controllo internazionali, fino alla situazione attuale che vede il Garante nazionale come elemento di essenziale interlocuzione per tutti gli ambiti di esercizio della difficile funzione di privare una persona della sua libertà e al contempo tutelarne i diritti».

Come si legge nella relazione, «c’è un prima e un dopo (...) in mezzo, ci sono le fratture che dividono stagioni e scandiscono la linea del tempo. Il carcere non sfugge a questa ciclicità della storia. Chi lo studia, lo vive o lo monitora sa quanto sia importante riconoscere quelle fratture, sapere che un attimo dopo nulla è come l’attimo prima. I più accorti riusciranno anche a prevedere quei tagli netti della linea del tempo, capendo quando esistono tutti gli elementi perché si realizzino». Tenuto conto, perciò, dei diversi ambiti di competenza del Garante (detenzione penale, trattenimento dei migranti, rimpatri forzati, trattamenti sanitari obbligatori, ricovero in strutture sanitarie-assistenziali, arresti o fermi), la linea di azione in tali situazioni è la tutela della dignità di ogni persona e della relativa integrità fisica e psichica: «quindi il Garante è elemento di prevenzione di ogni possibile maltrattamento e di contrasto a qualsiasi forma di impunità».

Inoltre: «ci sono ombre che ciclicamente tornano e che rendono sempre poco visibili e nitidi gli oggetti su cui si posano. Questa immagine ben si addice al dibattito che ritorna di tanto in tanto attorno alla paura delle diversità, dei disturbi comportamentali e, in particolare, delle persone con grave disagio psichico. La dimensione sociale di tale disagio e il conseguente approccio multiforme per la sua composizione indolore, lascia così spazio alla assolutezza della malattia e a un approccio unidirezionale centrato sulla sicurezza: della persona e ben di più della collettività esterna. Quando poi si associano follia e reato, le forme variegate di “alterizzazione” e di separazione divengono prevalenti, anche se assumono la forma, formalmente protettiva, dell’irresponsabilità penale per quanto commesso, implicitamente però diminuente del suo riconoscimento completo come persona» (cfr. Relazioni annuali attraverso questo link).

Criminologia Penitenziaria (ISSN 2704-9094 Online). Numero 11E22 del 22/06/2022

La retorica e l’arte della persuasione

Paradossalmente, forse nemmeno tanto, tutto può divenire banale se spesso ripetuto. Il perché di ciò? Perché, almeno in molteplici casi, quanto comunicato perde di espressività e di comunicatività intrinseca. Peggio ancora, sempre a mio modo di vedere, si pensi a quanto perde uno slogan, giacché ripetitivo per sua natura. Ebbene, quante volte abbiamo sentito dire, per esempio: “no alla guerra, senza ma e senza se”; frase ripetuta qualche milione di volte dal chicchessia di turno, e dunque una frase dal contenuto non trascurabile, ancor meno banale, ma se non seguita da comportamenti concreti resta un enunciato a dir poco ridicolo.

Tuttavia, pare innegabile che in certi momenti storici per liberarsi dagli oppressori si è dovuti ricorrere ad azioni belliche. Ma altrettanto innegabile è il fatto che in talune altre situazioni, anche a distanza di tempo, si ha una certa difficoltà a distinguere con certezza chi sia l’oppressore rispetto all’oppresso. Ed ancora: quanto e quando l’uso della forza è legittimato rispetto al superamento della linea di demarcazione che lo separa dalla diplomazia? Altrimenti detto: chi decide, ma soprattutto che valutazione si è in grado di dare rispetto alla capacità di agire con equilibrio? Ed anche in questo caso osservo delle forti criticità nei confronti sia del cosiddetto politicamente corretto (in generale), sia dei singoli fautori (presunti) della morale.

Ebbene, rispetto ai grandi temi che oggi ci riguardano, o che ancora oggi ci riguardano, ci si potrebbe chiedere: è solo una questione (di) politica, oppure c’è qualcosa che va ben oltre e che dovrebbe essere superato?

A tale proposito sintetizzo un passaggio dell’intervista rilasciata dal senatore Amintore Fanfani (1908-1999) al Corriere della Sera e pubblicata nel lontano 24 dicembre 1977 (altri tempi, altri attori politici, altro modo di intendere la politica), dal titolo “Differenti ideologie non impediscono ampie intese”: «si possono dimenticare gli sforzi che quasi tutti i partiti han fatto per adeguarsi alla sostituzione delle rigide contrapposizioni della guerra fredda con le posizioni di confronto democratico coerenti con la politica interna ed internazionale della distensione? (...) Le differenze ideologiche che esistevano tra i partiti al tempo della Costituente permangono, benché si sia verificato in ogni partito il tentativo di ridurne la rigidità (...), la sollecitazione derivata a cittadini e governanti dai principi su cui si fonda la Costituzione ha fatto compiere all’Italia notevoli progressi in materia di libertà, democrazia, progresso, giustizia sociale, pacifica e collaborativa convivenza internazionale (...). Ritengo che una attenta rilettura della Costituzione ed una riflessione sulla forza creatrice delle sue norme possano e debbano sollecitare ulteriori progressi».

Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 09A22 del 18/06/2022

La libertà di religione

I figli minorenni devono essere liberi di scegliere la propria religione, ma resta l’onere in capo ai genitori di educarli anche in tal senso. Il caso oggi in esame ha riguardato un soggetto che aveva coinvolto attivamente la figlia nella sua pratica religiosa – religione che qui ometto di indicare poiché ininfluente ai fini della portata giuridica e sociale della notizia/decisione giurisprudenziale adottata oltralpe. Tuttavia, vale la pena ricordare il principio costituzionale dettato dall’art. 19, vale a dire che «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché' non si tratti di riti contrari al buon costume».

Ebbene, in via preliminare, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha posto l’accento sul fatto che il «reciproco godimento da parte di genitore e figlio della reciproca compagnia costituisce un elemento fondamentale della vita  familiare», ciò anche se il rapporto tra i genitori dovesse interrompersi. Principio ricavato da una corretta esegesi (anche) dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Diritto al rispetto della vita privata e familiare): «Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui».

Sicché, nel caso di specie, il rapporto del genitore con la figlia risulterebbe essere stato limitato dalle decisioni delle autorità nazionali, costituendo così un’ingerenza al rispetto della vita familiare ai sensi della norma comunitaria appena richiamata, e dunque «le modalità pratiche per l’esercizio della potestà genitoriale sui minori definite dai tribunali nazionali non possono, in quanto tali, violare la libertà di un ricorrente di manifestare la propria religione».

Infine, la Corte ha ribadito che l’interesse superiore dei figli consiste «nel conciliare le scelte educative di ciascun genitore e nel cercare di trovare un equilibrio soddisfacente tra le concezioni individuali dei genitori, precludendo qualsiasi giudizio di valore e, ove necessario, ponendo stabilire norme minime sulle pratiche religiose personali» (cfr. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Prima Sezione), Strasburgo, 19 maggio 2022 - Caso omissis c. Italia).

Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 08A22 del 04/06/2022

Criteri del permesso di necessità

In materia di permessi di necessità concedibili al detenuto, l’art. 30 della legge sull’ordinamento penitenziario stabilisce, brevemente, che nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente ai condannati e agli internati può essere concesso il permesso per recarsi a visitare l’infermo, adottando le cautele previste dal regolamento. Similmente, in via eccezionale, analoghi permessi possono essere concessi per eventi familiari di particolare gravità.

Altrettanto in breve, l’art. 30-bis della stessa legge stabilisce che «prima di pronunciarsi sull’istanza di permesso, l’autorità competente deve assumere informazioni sulla sussistenza dei motivi addotti, a mezzo delle autorità di pubblica sicurezza, anche del luogo in cui l’istante chiede di recarsi».

Tuttavia, relativamente al caso oggi in esame, l’autorità giudiziaria adita negava il permesso chiesto dal detenuto, ristretto in regime di custodia cautelare in carcere, per partecipare al funerale e tumulazione della nonna, osservando che: «nonostante la tragica portata dell’evento, nella fattispecie non ricorre l’eccezionalità dell’esigenza posta a fondamento della richiesta e che l’unione spirituale con la nonna deceduta davanti alla tomba può ugualmente realizzarsi mediante il raccoglimento e la preghiera nei luoghi di culto del luogo di detenzione». Inoltre, nel provvedimento venivano evidenziati i rischi stante la spiccata pericolosità del detenuto.

Ebbene, tenuto conto della particolare gravità dell’evento, nonché della correlazione dello stesso con la vita familiare, il relativo accertamento circa la concedibilità o meno del permesso richiesto «deve essere compiuto tenendo conto dell’idoneità del fatto ad incidere nella vicenda umana del detenuto; mentre la gravità dei fatti commessi, o la pericolosità del condannato o dell’imputato, sono da valutare esclusivamente ai fini della predisposizione di apposite cautele esecutive».

Per tali ragioni, la decisione del giudice non deve concentrarsi tanto sul mero principio concessorio, «ma solo sulle modalità esecutive del permesso (...), proprio in vista della tutela delle rappresentate esigenze di sicurezza ed ordine pubblico, e possono includere (...) l’imposizione della scorta». Non da ultimo, «il  richiamo alla possibilità di una unione spirituale del detenuto con la nonna defunta all’interno dei luoghi di culto del luogo di detenzione risulta inconferente ed in contrasto con le finalità proprie dell'art. 30 Ord. pen.» (Cass. I Sez. Pen., Sent. 20515/22).

Criminologia Penitenziaria (ISSN 2704-9094 Online). Numero 10E22 del 27/05/2022

Licenziamento e Statuto dei lavoratori

Con ordinanza del Tribunale ordinario, Sezione lavoro, è stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 7, secondo periodo, della Legge n. 300/1970 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), così come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), Legge n. 92/2012 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita); per violazione degli artt. 1, 3, 4, 24 e 35 della Costituzione, nello specifico, «nella parte in cui prevede che, in caso di insussistenza del fatto, per disporre la reintegra occorra un quid pluris rappresentato dalla dimostrazione della “manifesta” insussistenza del fatto stesso», posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Ebbene, premesso che nell’attuazione dei principi sanciti dagli artt. 4 e 35 Cost., il giudice è chiamato a ponderare la particolarità di ogni vicenda, individuando ogni volta la tutela più efficace, tuttavia, al fatto concreto si devono ricondurre l’effettività e la genuinità della scelta imprenditoriale, senza «sconfinare in un sindacato di congruità e di opportunità».

Perciò, nell’ambito del licenziamento economico, la previsione del carattere “manifesto” di una insussistenza del fatto, già da se presenta profili di irragionevolezza intrinseca, con la conseguenza che «il requisito della manifesta insussistenza demanda al giudice una valutazione sfornita di ogni criterio direttivo e per di più priva di un plausibile fondamento empirico». Ovvero: «non solo il riferimento alla manifesta insussistenza non racchiude alcun criterio idoneo a chiarirne il senso», ma «esso entra anche in tensione con un assetto normativo che conferisce rilievo al fatto e si prefigge in tal modo di valorizzare elementi oggettivi, in una prospettiva di immediato e agevole riscontro».

In sintesi, facendo leva su un requisito indeterminato, la disposizione censurata si riflette sul processo di cognizione complicandone «taluni passaggi, con un aggravio irragionevole e sproporzionato», che impegna altresì «le parti, e con esse il giudice, nell’ulteriore verifica della più o meno marcata graduazione dell’eventuale insussistenza». Sicché, per tali ragioni, è costituzionalmente illegittimo l’art. 18, settimo comma, secondo periodo dello Statuto dei lavoratori, limitatamente alla parola «manifesta» (Corte Costituzionale, Sent. 125/22).

Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 07A22 del 20/05/2022

Trattamenti sanitari in carcere

Secondo prevalente orientamento giurisprudenziale, «i trattamenti sanitari nei confronti del detenuto sono incoercibili ma, se potenzialmente risolutivi di condizioni di salute deteriori, in forza delle quali il detenuto medesimo chiede il differimento della pena, o una misura alternativa alla detenzione, la loro accettazione si pone come condizione giuridica necessaria alla positiva valutazione della relativa richiesta». Questa la motivazione rispetto al (vano) ricorso proposto in sede di legittimità da un detenuto al quale il Tribunale di Sorveglianza aveva rigettato l’istanza di differimento della pena, anche nelle forme della detenzione domiciliare, alla luce della sua condizione di salute.

Infatti, il Tribunale, dando atto che il soggetto aveva sia ripetutamente rifiutato la terapia antiretrovirale prescritta dai sanitari – benché avvisato dei relativi rischi –, sia ritardato le analisi cliniche indispensabili per monitorare il proprio stato di salute, non era stato posto nella condizione di valutare il differimento dell’esecuzione della pena in quanto il principio per l’applicazione di tale misura «si  fonda su requisiti specifici, tra i quali la mancata risposta alle terapie».

Perciò, considerato che in tema di differimento della pena, facoltativo oppure obbligatorio, ex artt. 146 e 147 Codice penale, la norma permette o impone il benefico «soltanto con riferimento alle gravi condizioni di salute del soggetto», ne consegue che l’assenza di terapie e controlli impediscono di accertare se ricorre la condizione contemplata dalla norma stessa, vale a dire, come nel caso in esame, se la condizione di AIDS conclamata sia in una fase così avanzata tale da non rispondere più ai trattamenti disponibili ed alle terapie curative.

Situazione, quindi – come in premessa indicato e qui, in conclusione, è bene ri-sottolineare –, se da un lato i trattamenti sanitari nei confronti dei detenuti sono “incoercibili”, dall’altro se i medesimi sono «risolutivi di condizioni di salute deteriori, in forza delle quali il detenuto medesimo chiede il differimento della pena, o una misura alternativa alla detenzione, la loro accettazione si pone come condizione giuridica necessaria alla positiva valutazione della relativa richiesta» (sottolineatura aggiunta); non rilevando nemmeno la natura dei reati per i quali il soggetto espia la pena, in quanto principio giuridico non previsto dagli artt. 146 e 147 cod. pen. (Cass. I Sez. Pen. Sent. 17180/22).

Criminologia Penitenziaria (ISSN 2704-9094 Online). Numero 09E22 del 10/05/2022

Sovraffollamento e misure alternative

Il Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura chiede di fissare un limite al numero di detenuti per ogni carcere ed al contempo di promuovere misure alternative alla detenzione. Ebbene, il 20 aprile 2022 il Presidente del Comitato per la Prevenzione della Tortura ha presentato, in uno scambio di opinioni con i Deputati dei Ministri del Consiglio d’Europa, il Rapporto Generale delle Attività per il 2021. Nel rapporto, il Comitato invita gli Stati europei ad affrontare il problema della detenzione fissando sia una soglia massima rispetto al numero di detenuti per ogni istituto penale (da rispettare rigorosamente), sia aumentando l’uso di misure alternative alla reclusione.

Inoltre, il presidente del Comitato ha sottolineato il fatto che «il sovraffollamento carcerario mina ogni tentativo di dare un significato pratico al divieto della tortura e di altre forme di maltrattamento», mettendo a rischio tutti i detenuti ma in particolare i più vulnerabili, nonché il personale penitenziario, minando ogni sforzo per reintegrare i detenuti stessi nella società. Sicché, i «governi dovrebbero garantire che i detenuti abbiano spazio sufficiente per vivere dignitosamente in prigione e che le misure non detentive siano utilizzate in modo adeguato, assicurando nel contempo che il sistema di giustizia penale fornisca un’adeguata protezione alla società».

Come primo passo, quindi, le amministrazioni penitenziarie dovrebbero effettuare una revisione circa la capacità di ciascuna cella, del carcere stesso e del sistema carcerario nel suo insieme, applicando rigorosamente gli standard suggeriti dal Comitato per la Prevenzione della Tortura relativi allo spazio abitativo minimo per ciascun detenuto, vale a dire di almeno quattro metri quadrati di superficie abitabile in celle condivise e di sei metri quadrati in celle singole (esclusi gli annessi sanitari). Ma anche un limite massimo assoluto per il numero di detenuti per ciascuna casa di reclusione.

Infine, il Comitato per la Prevenzione della Tortura raccomanda un maggiore uso di misure alternative alla restrizione in carcere, come per esempio i servizi alla comunità, con sistemi di monitoraggio elettronico, integrati da libertà vigilata e programmi di riabilitazione. Infatti, secondo il Comitato, il ricorso a misure non detentive appare modesto in molti Stati, in particolare nella fase preliminare, e non riduce sufficientemente il numero delle persone ristrette.

Criminologia Penitenziaria (ISSN 2704-9094 Online). Numero 08E22 del 27/04/2022

Condizioni della detenzione

Tenuto conto dei più recenti orientamenti giurisprudenziali, è corretta la decisione del Tribunale di sorveglianza che ha concesso il ristoro – in termini di una riduzione di pena – ad un detenuto, attribuendo rilevanza decisiva all’accoglimento della di lui istanza nella quale lamentava la presenza nella stanza detentiva di un WC separato dal resto dello spazio a sua disposizione – necessario per l’espletamento delle funzioni di vita quotidiana – solo da un muro alto un metro e mezzo, quindi, non sufficiente ad evitare che l’utilizzo avvenisse alla vista di terze persone così da salvaguardarne la ragionevole riservatezza.

Tale decisione è scaturita anche dalla carenza di informazioni richieste all’Amministrazione penitenziaria la quale si era dichiarata impossibilitata a fornirle per assenza della relativa documentazione. Pertanto, il Tribunale di sorveglianza ha considerato fondate le allegazioni prodotte dal detenuto, peraltro riscontrate dall’accertamento del magistrato di sorveglianza relativo ad un periodo di detenzione sovrapponibile.

In estrema sintesi, sulla base del disposto di cui l’art. 35-ter Ord. penit. (Rimedi risarcitori conseguenti alla violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali nei confronti di soggetti detenuti o internati), le «allegazioni dell’istante sul fatto costitutivo della lesione, addotte a fondamento di una domanda sufficientemente determinata, e riscontrata sotto il profilo dell’esistenza e della decorrenza della detenzione, sono assistite da una presunzione relativa di veridicità del contenuto, per effetto della quale incombe sull’Amministrazione penitenziaria l’onere di fornire idonei elementi di valutazione di segno contrario».

Perciò, il provvedimento del Tribunale di sorveglianza ha fornito una «giustificazione sul punto attinto dalle censure, osservando che la presenza del WC all’interno della stessa stanza dove il detenuto cucina, mangia e dorme senza un’effettiva separazione aveva inciso sulla condizione detentiva rendendola degradante e comprimendo non solo il diritto alla riservatezza ma anche la salubrità dell’ambiente» (Cass. Pen., sez. I, Sent. 13660/22).

Criminologia Penitenziaria (ISSN 2704-9094 Online). Numero 07E22 del 19/04/2022

Tra passato e distopie del presente

In questo contributo torno a citare Piero Calamandrei (1889-1956), ma non solo, giurista e politico italiano tra gli artefici della Carta Costituzionale, quel nobile testo alla base del nostro ordinamento giuridico. La Costituzione, appunto, a volte bistrattata, vilipesa, financo derisa, a mio modesto modo di vedere, da chi non ha nulla a che fare col senso dello Stato, ma che per una serie di intrighi ed altrettante discutibili combinazioni si ritrova perfino a decidere sulle modalità di vita e financo di morte delle persone. Soggetti impunemente disonesti dediti esclusivamente a perseguire biechi interessi personalistici e sodali, tantoché, sempre a mio mesto avviso, la teoria di familismo amorale elaborata da Edward C. Banfield (1916-1999), in seguito ripresa ed approfondita da Robert D. Putnam, sembra poca cosa al confronto.

Familismo amorale, vale a dire quella spiccata incapacità di agire in favore del bene collettivo dove invece prevale su di esso l’interesse materiale personale e della famiglia di appartenenza: «In una società di familisti amorali, nessuno perseguirà l’interesse di gruppo, a meno che non ci sia un suo tornaconto personale» (cfr. E.C. Banfield, 1961).

Ma facciamo qualche passo indietro, appena un secolo prima del testo di Banfield, precisamente al 1861, quando Massimo D’Azeglio (1798-1866) ebbe a dire, così riferiscono i testi (cfr. R. Vivarelli, 2004): «Abbiamo fatto l’Italia. Ora si tratta di fare gli italiani», come ad evidenziare, mi permetto di chiosare, la necessità di pensare a persone migliori, ovverosia educare loro al principio di responsabilità ed onestà nell’esclusivo interesse collettivo, specie tra quelle che ambiscono a cariche pubbliche.

Ebbene, se da un lato la nascita dello Stato italiano segnava non tanto un punto d’arrivo bensì un punto di partenza di un lungo cammino che portasse gli italiani in direzione della più avanzata civiltà europea; dall’altro, la redazione di un testo costituzionale non doveva essere inteso solo come una degna risposta ai regimi totalitari del noto ventennio che condussero al secondo conflitto mondiale, ma doveva essere soprattutto una linea indelebile da seguire per i secoli avvenire all’indirizzo del rispetto e salvaguardia dei diritti inalienabili dell’individuo.

Senso dello Stato? Dignità umana? Morale? Forse di “questione morale” pare ancora attuale quella rappresentata da Enrico Berlinguer (1922-1984) in una intervista rilasciata ad Eugenio Scalfari, pubblicata da “La Repubblica” il 28 luglio 1981: «La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude».

Ed ancora, rileggendo Calamandrei, quando il 4 marzo 1947, nella seduta pomeridiana dell’Assemblea Costituente, impegnata nei lavori preparatori della Carta costituzionale, rivolto ai colleghi disse: «Nel discutere di questi argomenti io ho sempre sostenuto che, per preparare il testo di una nuova costituzione democratica, sia più opportuno e più prudente muovere dal punto di vista della minoranza (...) di quella che potrà essere domani la minoranza, in modo che le garanzie costituzionali siano soprattutto studiate per difendere domani i diritti di questa minoranza. Il carattere essenziale della democrazia consiste non solo nel permettere che prevalga e si trasformi in legge la volontà della maggioranza, ma anche nel difendere i diritti delle minoranze, cioè dell’opposizione che si prepara a diventare legalmente la maggioranza di domani».

A seguire: «Vedete, colleghi, bisogna cercare di considerare questo nostro lavoro non come un lavoro di ordinaria amministrazione, come un lavoro provvisorio del quale ci si possa sbrigare alla meglio. Se noi siamo qui a parlare liberamente in quest’aula è perché per venti anni qualcuno ha continuato a credere nella democrazia, e questa sua religione ha testimoniato con la prigionia, l’esilio e la morte. Io mi domando come i nostri posteri tra cento anni giudicheranno questa nostra Assemblea Costituente se la sentiranno alta e solenne come noi sentiamo oggi alta e solenne la Costituente Romana, dove un secolo fa sedeva e parlava Giuseppe Mazzini. Io credo di sì credo che i nostri posteri sentiranno più di noi, tra un secolo, che da questa nostra Costituente è nata veramente una nuova storia e si immagineranno, come sempre avviene che con l’andar dei secoli la storia si trasfiguri nella leggenda, che in questa nostra Assemblea, mentre si discuteva della nuova Costituzione Repubblicana, seduti su questi scranni non siamo stati noi, uomini effimeri di cui i nomi saranno cancellati e dimenticati, ma sia stato tutto un popolo di morti, di quei morti, che noi conosciamo ad uno ad uno, caduti nelle nostre file, nelle prigioni e sui patiboli, sui monti e nelle pianure, nelle steppe russe e nelle sabbie africane, nei mari e nei deserti nelle quali l’eroismo è giunto alla soglia della santità. Essi sono morti senza retorica, senza grandi frasi, con semplicità, come se si trattasse di un lavoro quotidiano da compiere: il grande lavoro che occorreva per restituire all’Italia libertà e dignità. Di questo lavoro si sono riservata la parte più dura e più difficile; quella di morire, di testimoniare con la resistenza e la morte la fede nella giustizia. A noi è rimasto un compito cento volte più agevole; quello di tradurre in leggi chiare, stabili e oneste il loro sogno, di una società più giusta e più umana, di una solidarietà di tutti gli uomini, alleati a debellare il dolore. Assai poco, in verità, chiedono a noi i nostri morti. Non dobbiamo tradirli».

Ebbene, proprio con il concetto di tradimento chiuse il discorso Calamandrei, proprio quel tradimento che oggi caratterizza taluni affaristi senza scrupoli i quali auspicano che il nostro Paese arretri di anni, meglio se di secoli.

Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 06A22 del 18/04/2022

La nascita dei governi

Presentazione dei volumi “La nascita dei governi della Repubblica (1946-2021)”, a cura di Beniamino Caravita, Federica Fabrizzi, Vincenzo Lippolis, Giulio Salerno. L’opera, in due volumi, offre ai lettori una dettagliata analisi dal punto di vista del diritto costituzionale della nascita di tutti i governi della Repubblica dal 1946 al 2021. Dibattito ripreso da Radio Radicale.
Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 05A22 del 15/03/2022

Trattamenti inumani e degradanti

Il caso oggi proposto riguarda la recente decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con la quale ha condannato l’Italia a risarcire un detenuto per avergli arrecato «un pregiudizio morale certo a causa del suo mantenimento in detenzione senza un programma di cure adeguato al suo stato di salute». Il ricorso alla Corte ha riguardato il mantenimento in regime carcerario ordinario del reo nonostante i giudici ne avessero disposto il ricovero in una REMS (Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza).

Brevemente, dal fascicolo sanitario del carcere risultava che il ricorrente «continuava a soffrire di un disturbo di personalità e di un disturbo bipolare, e che il suo stato di salute mentale era instabile e caratterizzato da idee di grandezza e di persecuzione al limite del delirio». Inoltre, lo psichiatra del penitenziario «sottolineò che il ricorrente non era affatto consapevole che era malato e doveva farsi curare, e che, per quanto riguarda la terapia farmacologica prescritta, era soggetto a periodi di alternanza tra l’accettazione e il rifiuto». Tuttavia, nonostante il Magistrato di sorveglianza decideva per «l’applicazione immediata della detenzione in REMS per un anno, ritenendo che tale misura fosse l’unica adeguata tenuto conto della pericolosità sociale del ricorrente», tutte le strutture contattate dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria risposero negativamente per «indisponibilità di posti», con la conseguenza che l’ordinanza che disponeva il ricovero in REMS non fu mai eseguita.

Ebbene, la Corte EDU, oltre a rammentare che lo «Stato è tenuto, nonostante i problemi logistici e finanziari, ad organizzare il proprio sistema penitenziario in modo da assicurare ai detenuti il rispetto della loro dignità umana», ha ribadito che l’eventuale «ritardo nell’ottenimento di un posto non può durare all’infinito ed è accettabile soltanto se debitamente giustificato». Pertanto, siccome «spetta ai governi organizzare il proprio sistema penitenziario in modo da garantire il rispetto della dignità dei detenuti, indipendentemente da qualsiasi difficoltà economica o logistica», la suddetta “indisponibilità di posti” non può considerarsi «come una giustificazione valida per il ritardo nell’esecuzione della misura». Perciò, in assenza di altre giustificazioni, la Corte ha concluso che le autorità italiane hanno violato la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, disponendo che «lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva», le seguenti somme: 36.400 euro, più l’importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta, per danno morale; 10.000 euro, più l’importo eventualmente dovuto su tale somma dal ricorrente a titolo di imposta, per le spese (Corte EDU, Sentenza del 24 gennaio 2022 - Ricorso n. 11791/20).

Criminologia Penitenziaria (ISSN 2704-9094 Online). Numero 06E22 del 07/02/2022

Detenzione domiciliare speciale

Il Magistrato di sorveglianza ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 47-quinquies della Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario), per violazione degli artt. 3, 27, terzo comma, 30, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 3, paragrafo 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, e 24, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007.

Ebbene, ad avviso del rimettente, la disposizione censurata violerebbe le citate disposizioni nella parte in cui non è previsto per la detenzione domiciliare speciale l’applicazione provvisoria consentita dall’art. 47-ter, comma 1-quater, ordin. penit. per la detenzione domiciliare ordinaria, così che, in tal modo, sarebbe irragionevolmente preclusa la concessione urgente di una misura di tutela della prole di tenera età e verrebbero lesi i principi di umanità della pena, essenzialità della cura genitoriale e preminenza dell’interesse del minore.

Invero, il Magistrato di sorveglianza riferisce di dover provvedere sull’istanza di ammissione urgente alla detenzione domiciliare speciale avanzata da un condannato con pena residua superiore ai quattro anni di reclusione, padre di una figlia minore di anni dieci, all’accudimento della quale la madre sarebbe impossibilitata per ragioni di salute. Da qui discenderebbe la rilevanza delle questioni, poiché la denunciata lacuna normativa – non colmabile per via interpretativa – impedirebbe all’organo monocratico di esaminare la richiesta del genitore e di apprezzarne la conformità all’interesse della bambina.

Tanto premesso, concludono i giudici delle leggi, l’art. 47-quinquies, commi 1, 3 e 7, della Legge n. 354 del 1975 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 31 Cost., nella parte in cui non prevede che, ove vi sia un grave pregiudizio per il minore derivante dalla protrazione dello stato di detenzione del genitore, l’istanza di detenzione domiciliare può essere proposta al magistrato di sorveglianza, che può disporre l’applicazione provvisoria della misura, nel qual caso si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’art. 47, comma 4, della medesima normativa (Corte Cost., Sent. 30/22, decisione del 11/01/2022, deposito del 03/02/2022).

Criminologia Penitenziaria (ISSN 2704-9094 Online). Numero 05E22 del 05/02/2022

La videosorveglianza

Regole in materia di videosorveglianza in ambito personale o domestico (indicazioni del Garante per la protezione dei dati personali), ovvero, le persone fisiche possono attivare sistemi di videosorveglianza a tutela della sicurezza di persone o beni senza autorizzazione e formalità, a condizione che: 1) le telecamere siano idonee a riprendere solo aree di propria esclusiva pertinenza; 2) vengano attivate misure tecniche per oscurare porzioni di immagini in tutti i casi in cui, per tutelare adeguatamente la sicurezza propria o dei propri beni, sia inevitabile riprendere parzialmente anche aree di terzi; 3) nei casi in cui sulle aree riprese insista una servitù di passaggio in capo a terzi, sia acquisito formalmente (una tantum) il consenso del soggetto titolare di tale diritto; 4) non siano oggetto di ripresa aree condominiali comuni o di terzi; 5) non siano oggetto di ripresa aree aperte al pubblico (strade pubbliche o aree di pubblico passaggio); 6) non siano oggetto di comunicazione a terzi o di diffusione le immagini riprese.



Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 04A22 del 01/02/2022


Crimini esplosivi

Attraverso le riprese di Radio Radicale è possibile vedere la presentazione del libro dal titolo “Crimini esplosivi”, autore Danilo Coppe, geominerario esplosivista e consulente forense. Il testo tratta tematiche spesso taciute al grande pubblico, vuoi per motivi assunti come di opportunità, vuoi per altro cui forse è meglio rimandare alla lettura del libro per farsene un’idea più appropriata, nel quale si ricostruiscono ad oggi tutta una serie di eventi criminali in cui è stato utilizzato dell’esplosivo, mettendo in risalto anche quelli che possono essere definiti punti di debolezza del nostro sistema investigativo e dunque per offrire una corretta interpretazione a questioni irrisolte.

Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 03A22 del 30/01/2022


Giornata della Memoria

Il 27 gennaio 2022, per la Giornata della Memoria, l’Archivio di Stato di Roma ha organizzato uno speciale evento dedicato a Lia Levi, giornalista, sceneggiatrice e autrice di libri, con i quali ha vinto numerosi premi letterari. Per l’occasione è stato presentato al pubblico l’archivio della scrittrice, donato nel 2008 e ora interamente ordinato, descritto e inventariato. La documentazione, resa così accessibile al pubblico per la prima volta, è chiara espressione della sua attività letteraria e del suo impegno come testimone della Shoah. Evento ripreso e pubblicato da Radio Radicale, qui di seguito visibile.


Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 02A22 del 29/01/2022

Le misure di sicurezza

Il Giudice per le indagini preliminari sollevava questioni di legittimità costituzionale relativamente alle norme concernenti il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) e l’istituzione delle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS). Invero, il giudice aveva disposto per un soggetto l’applicazione della misura di sicurezza presso una REMS, in quanto affetto da infermità psichica e socialmente pericoloso, anche in correlazione al sistematico abuso di alcolici. Sicché, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria aveva comunicato un elenco di strutture, precisando però che, essendo la loro gestione affidata al Servizio Sanitario Regionale, la responsabilità della presa in carico della persona coinvolta competeva alla Regione. E nel decorso dei dieci mesi di attesa, la persona in esame si era anche sottratta a tutte le terapie e agli obblighi inerenti la misura di sicurezza della libertà vigilata, disposta in via provvisoria in attesa della disponibilità di un posto in una REMS.

Ebbene, per il giudice rimettente, tale complesso di norme violerebbero in primo luogo gli artt. 27 e 110 della Costituzione, «nella parte in cui, attribuendo l’esecuzione del ricovero provvisorio presso una REMS alle Regioni ed agli organi amministrativi da esse coordinati e vigilati, escludono la competenza del Ministro della Giustizia in relazione all’esecuzione della detta misura di sicurezza detentiva provvisoria»; in secondo luogo violerebbero gli artt. 2, 3, 25, 32 e 110 Cost., «nella parte in cui consentono l’adozione con atti amministrativi di disposizioni generali in materia di misure di sicurezza in violazione della riserva di legge in materia».

Tuttavia, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni sollevate poiché, viceversa, deriverebbe la «caducazione del sistema delle REMS, che costituisce il risultato di un faticoso ma ineludibile processo di superamento dei vecchi OPG, con la conseguenza di un intollerabile vuoto di tutela di interessi costituzionalmente rilevanti», ma ammonendo il legislatore affinché proceda ad una complessiva riforma di sistema, che assicuri «un’adeguata base legislativa alla nuova misura di sicurezza; la realizzazione e il buon funzionamento, sull’intero territorio nazionale, di un numero di REMS sufficiente a far fronte ai reali fabbisogni, nel quadro di un complessivo e altrettanto urgente potenziamento delle strutture sul territorio in grado di garantire interventi alternativi adeguati alle necessità di cura e a quelle, altrettanto imprescindibili, di tutela della collettività; forme di idoneo coinvolgimento del ministro della Giustizia nell’attività di coordinamento e monitoraggio del funzionamento delle REMS esistenti e degli altri strumenti di tutela della salute mentale degli autori di reato, nonché nella programmazione del relativo fabbisogno finanziario» (Corte cost. Sent. 22/22, decisione del 16/12/2021, deposito del 27/01/2022).

Criminologia Penitenziaria (ISSN 2704-9094 Online). Numero 04E22 del 28/01/2022

Collaborazione con la giustizia

I detenuti che ritengono di non collaborare con la giustizia possono essere distinguibili in due fattispecie: il silente “per sua scelta”, ovvero chi “oggettivamente può, ma soggettivamente non vuole”, ed il silente “suo malgrado”, vale a dire chi “soggettivamente vuole, ma oggettivamente non può”. Ebbene, su questo presupposto, la Consulta ha escluso che tale differenziazione determini una lesione del principio di uguaglianza nei casi in cui il detenuto in espiazione pena avanzi richiesta di permesso-premio. Infatti, proprio sul presupposto che il condannato per reati ostativi deve sottostare a regole dimostrative più o meno rigorose a seconda delle ragioni per cui non ha collaborato con la giustizia, ecco che tali regole sono necessariamente più rigorose per chi sceglie di non collaborare pur potendolo fare, rispetto a quando, viceversa, la collaborazione risulti impossibile in quanto i fatti criminosi sono già stati integramente accertati; oppure inesigibile a causa della limitata partecipazione ai fatti in esame, con la conseguente inutilità della collaborazione ai fini di giustizia.

Tuttavia, la Corte, nel dichiarare non fondate le censure sollevate dal Magistrato di sorveglianza, ha osservato che il carattere volontario della scelta di non collaborare costituisce – secondo esperienza consolidata – un oggettivo sintomo di allarme tale da esigere un regime rafforzato di verifica, esteso all’acquisizione anche di elementi idonei ad escludere il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata da parte del soggetto interessato, senza i quali la decisione sulla propria istanza finalizzata alla concessione del permesso premio si arresta già sulla soglia dell’ammissibilità.

Allorquando, viceversa, la collaborazione non potrebbe comunque essere prestata, ai fini del superamento del regime ostativo può essere verificata la sola mancanza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata.

In conclusione, chiosano i giudici delle leggi, questo non significa «che le motivazioni e le convinzioni soggettive di tutti detenuti non collaboranti (per scelta o per impossibilità), su cui il giudice rimettente ha appuntato larga parte della sua attenzione, siano irrilevanti», e che quindi «la loro valutazione potrà sempre avvenire, ed essere opportunamente valorizzata, nella fase dell’esame concernente la valutazione della “meritevolezza” del permesso premio richiesto» (Corte cost. Sent. 20/22, decisione del 30/11/2021, deposito del 25/01/2022).

Criminologia Penitenziaria (ISSN 2704-9094 Online). Numero 03E22 del 27/01/2022

Detenzione e corrispondenza

Con la sentenza n. 18/22, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la censura sulla corrispondenza tra difensore e detenuto ristretto in regime 41 bis Ord. Penit., puntualizzando in proposito che tale censura viola il diritto di difesa sancito dalla Costituzione. Infatti, la sentenza osserva che «il diritto di difesa comprende - secondo quanto emerge dalla costante giurisprudenza della stessa Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo - il diritto di comunicare in modo riservato con il proprio difensore e sottolinea che di questo diritto è titolare anche chi stia scontando una pena detentiva. E ciò anche per consentire al detenuto un’efficace tutela contro eventuali abusi delle autorità penitenziarie».
Perciò, se è vero che tale «diritto non è assoluto e può essere circoscritto entro i limiti della ragionevolezza e della necessità», lo è altrettanto il principio di tutela di «altri interessi costituzionalmente rilevanti», come quello dell’effettività di difesa.
Inoltre, se da un lato è vero che i detenuti in regime di 41 bis Ord. Penit., sono «ordinariamente sottoposti a incisive restrizioni dei propri diritti fondamentali, allo scopo di impedire ogni contatto con le organizzazioni criminali di appartenenza», dall’altro il visto di censura sulla corrispondenza del detenuto con il proprio difensore non sembra uno strumento idoneo a raggiungere il suddetto obiettivo, anzi, si risolve unicamente in una «irragionevole compressione del suo diritto di difesa», con particolare ripercussione nei confronti dei detenuti meno abbienti.
Infatti, pensando all’ipotesi del detenuto trasferito in una struttura penitenziaria distante dalla città in cui ha sede il proprio difensore di fiducia, la «corrispondenza epistolare potrebbe divenire il principale mezzo a disposizione per comunicare con lo stesso difensore; mentre i detenuti provvisti – anche in ragione della propria posizione apicale nell’organizzazione criminale – di maggiori disponibilità economiche potrebbero assai più agevolmente sostenere i costi e gli onorari connessi ai viaggi del proprio avvocato finalizzati allo svolgimento dei colloqui» (Corte cost. Sent. 18/22, decisione del 02/12/2021, deposito del 24/01/2022).

Criminologia Penitenziaria (ISSN 2704-9094 Online). Numero 02E22 del 25/01/2022