Presentata la Relazione annuale al Parlamento da parte del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale. Il Garante ha illustrato la Relazione tenendo conto del percorso dell’Autorità di garanzia inizialmente percepita come circoscritta al solo carcere, ma col passare del tempo sempre più riconosciuta come punto di riferimento per le persone migranti presenti nei centri per il rimpatrio, le persone ospitate nei servizi psichiatrici ospedalieri, fino alle persone dell’ambito residenziale per anziani o per disabili.
Sicché, il «percorso ha riguardato anche il sempre maggiore riconoscimento da parte delle Istituzioni dello Stato e degli Organi di controllo internazionali, fino alla situazione attuale che vede il Garante nazionale come elemento di essenziale interlocuzione per tutti gli ambiti di esercizio della difficile funzione di privare una persona della sua libertà e al contempo tutelarne i diritti».
Come si legge nella relazione, «c’è un prima e un dopo (...) in mezzo, ci sono le fratture che dividono stagioni e scandiscono la linea del tempo. Il carcere non sfugge a questa ciclicità della storia. Chi lo studia, lo vive o lo monitora sa quanto sia importante riconoscere quelle fratture, sapere che un attimo dopo nulla è come l’attimo prima. I più accorti riusciranno anche a prevedere quei tagli netti della linea del tempo, capendo quando esistono tutti gli elementi perché si realizzino». Tenuto conto, perciò, dei diversi ambiti di competenza del Garante (detenzione penale, trattenimento dei migranti, rimpatri forzati, trattamenti sanitari obbligatori, ricovero in strutture sanitarie-assistenziali, arresti o fermi), la linea di azione in tali situazioni è la tutela della dignità di ogni persona e della relativa integrità fisica e psichica: «quindi il Garante è elemento di prevenzione di ogni possibile maltrattamento e di contrasto a qualsiasi forma di impunità».
Inoltre: «ci sono ombre che ciclicamente tornano e che rendono sempre poco visibili e nitidi gli oggetti su cui si posano. Questa immagine ben si addice al dibattito che ritorna di tanto in tanto attorno alla paura delle diversità, dei disturbi comportamentali e, in particolare, delle persone con grave disagio psichico. La dimensione sociale di tale disagio e il conseguente approccio multiforme per la sua composizione indolore, lascia così spazio alla assolutezza della malattia e a un approccio unidirezionale centrato sulla sicurezza: della persona e ben di più della collettività esterna. Quando poi si associano follia e reato, le forme variegate di “alterizzazione” e di separazione divengono prevalenti, anche se assumono la forma, formalmente protettiva, dell’irresponsabilità penale per quanto commesso, implicitamente però diminuente del suo riconoscimento completo come persona» (cfr. Relazioni annuali attraverso questo link).
Criminologia Penitenziaria (ISSN 2704-9094 Online). Numero 11E22 del 22/06/2022