Memorie di un Segretario

Presentazione del libro dal titolo: “Presidente di tutti. Giorgio Napolitano nelle memorie di un Segretario del Quirinale”, di Giovanni Matteoli. Evento del 23 settembre 2024 registrato da Radio Radicale nell’ambito del “Master in Istituzioni parlamentari” presso Sapienza Università di Roma. Scrive l’autore: «Il presidente tenne sempre fede al compito di svolgere un ruolo di mediazione e di garanzia, del tutto coerente con la sua diffidenza per le contrapposizioni esasperate, le estremizzazioni e le faziosità». Secondo me, il libro va letto al di là del legittimo orientamento politico di ognuno.

L’ambivalenza del potere

Franco Crespi (1930-2022), estratto da MicroMega 4/86, pp. 143-169: «Un tentativo di approccio fenomenologico ai molteplici e contraddittori elementi del potere. Solo chiedendoci che cosa esso sia possiamo comprendere come esso operi. La sua funzione e ineliminabile nel contesto sociale, tanto quanto lo e la disuguaglianza. È in questa prospettiva che si deve porre il problema dell’emancipazione». Coscienza e mediazione simbolica. «Per comprendere il significato che il potere assume all’interno della situazione esistenziale occorre tener presenti anzitutto le due dimensioni costitutive di quest’ultima: la riflessività o autocoscienza e l’esigenza di mediazioni simboliche. È noto che la tradizione razionalistica e scientistica del secolo scorso ha tentato di eliminare per quanto possibile la soggettività dal campo scientifico, cercando di studiare il comportamento umano in termini meccanicistici o di calcolo utilitaristico. Tuttavia, lo stesso sviluppo dell’epistemologia contemporanea della scienza, riconoscendo il carattere convenzionale e intersoggettivo dell’oggettività scientifica, ha finito con il restituire una funzione centrale alla dimensione soggettiva e al problema dell’intenzionalità e del senso. Quando oggi i filosofi parlano della fine del soggetto essi si  riferiscono in realtà, anche se non sempre in modo pienamente consapevole e privo di equivoci, alla crisi del soggetto cartesiano, la cui coscienza era concepita come centro di idee chiare e distinte e di scelte volontarie. In contrapposizione alia concezione della metafisica razionalista, la critica nihilista di Nietzsche, da un lato, e il materialismo dialettico di Marx dall’altro, hanno, anche se in maniera diversa, insistito infatti sul carattere di prodotto della coscienza. In Nietzsche il soggetto appare come maschera, pura illusione fenomenica creata dal gioco delle relazioni simboliche (G. Vattimo, 1974), mentre è noto che in Marx la coscienza è vista come il riflesso di condizionamenti storico-sociali. Ma è soprattutto con Freud che la coscienza ha perso il carattere libero e trasparente che le attribuiva Descartes: essa appare al contrario come travestimento inconsapevole, tramite processi di razionalizzazione e rimozione, di pulsioni profonde dell’inconscio e come “campo di lotta fra tendenze contrapposte fra loro” (S. Freud, 1967-1979). In questa stessa direzione oggi la psicologia sociale e la filosofia analitica sono venute sempre più sottolineando la presenza nella mente umana di dissonanze cognitive, di meccanismi di autoinganno (self-deception) e di “falsa coscienza” (L. Festinger, 1973; H. Fingarette, 1969; P. Gardiner, 1969-1970; W. G. Runciman, 1970; A. Rorty, 1972; J. Elster, 1983)».

Il profitto viene dopo

Estratto dell’intervento del Cardinale Carlo Maria Martini (1927-2012) all’incontro sulla disoccupazione giovanile (Milano, 11 gennaio 1986), testo pubblicato integralmente su MicroMega n. 1/86, pp. 89-93: «Capisco che può apparire un po’ fuori luogo discorrere del rapporto qualitativo tra i giovani e il lavoro, cioè del significato soggettivamente investito dai giovani nell’esperienza di lavoro, quando questo manca o è confinato nella marginalità (...). Ma - dobbiamo chiederci, come educatori - come sanare questa schizofrenia, come ricomporre, nel vissuto giovanile, un armonico equilibrio, ove l’homo faber si coniughi  con l’homo ludens nel segno di una sapienza intessuta di contemplazione e di lavoro? (...) Accenno solo (...) a tre condizioni. 1) Che si dia modo ai giovani di non tardare, dopo la debita formazione nel fare concreta esperienza di lavoro: non c’è terapia più efficace, per combattere l’immagine mitica del lavoro o, sul fronte opposto, il senso di oppressione e di angoscia che talora evoca nei giovani, che l’impatto concrete con un lavoro, con le prestazioni e le relazioni umane - gratificanti  e non - che esso comporta. Quando la coscienza e la libertà del giovane in formazione fanno la concreta esperienza del valore ma, anche del limite, sviluppano quell’equilibrio che è indizio di maturità. L’esperienza insegna che il lavoro è scuola di vita, esercizio di responsabilità, ingresso nella comunità adulta. 2) In secondo luogo la diffusa domanda di una diversa e più alta qualità del lavoro deve stimolare l’invenzione sociale. Alla Chiesa che si incarica di dare voce ad alcune essenziali esigenze etiche e solidaristiche, si usa rimproverare una visione regressiva, incline a distribuire risorse stazionarie o calanti, anziché a stimolare la positiva produzione di ricchezza. Possiamo anche raccogliere l’obiezione. Solo vorremmo che, coerentemente, si conducesse a fondo e si estendesse il rilievo, sino a comprendere la sfida a mettere in valore le risorse intellettuali e pratiche dell’uomo cui spetta il compito di adeguare l’organizzazione economica e produttiva al grado di sviluppo della sua più esigente soggettività. 3) Terza condizione di un auspicabile rapporto maturo e sapienziale dei giovani con il lavoro è la sua assunzione in una pregnante prospettiva vocazionale. Il problema del senso soggettivamente assegnato al lavoro fatalmente rimanda al più complessivo e radicale problema del senso ultimo dell’esistenza. Educare i giovani a un atteggiamento equilibrato verso il lavoro significa educarli al senso della radicalità e della globalità con cui interrogarsi sul significato della propria vita. Certo, non si fissa un orientamento etico una volta per tutte, né si sceglie sempre con rigorosa e puntuale coerenza. Ma, pur tra debolezze e contraddizioni, una coscienza che progressivamente si costruisce dentro un orizzonte di vita consapevolmente e liberamente assunto sa conferire al lavoro la sua fisiologica rilevanza e sa illuminare la scelta del lavoro e le scelte nel lavoro».