Tecnologia e licenziamenti

Il caso odierno riguarda un lavoratore portoghese licenziato sulla base di un accertamento del suo comportamento effettuato dal datore di lavoro attraverso un dispositivo GPS (Global Positioning System). Ebbene, posto che ogni storia giudiziaria è diversa da tutte le altre, la sentenza oggi in esame giunge dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che ha ritenuto legittimo il licenziamento di un lavoratore sottrattosi all’onere di rimborso delle spese spettanti al datore di lavoro.

La questione giuridica presa in considerazione è se i giudici nazionali del Portogallo abbiano correttamente valutato il conflitto dei diritti contrapposti, cioè da una parte il diritto del lavoratore al rispetto della sua vita privata e dall’altra il diritto del datore di lavoro «al corretto funzionamento della sua attività, compreso il diritto di controllare le spese derivanti dall’uso dei suoi veicoli».

Ciò premesso, il licenziamento del lavoratore fu ritenuto legittimo in tutti i gradi di giudizio nelle sedi giurisdizionali portoghesi, sicché, infine, avendo l’interessato presentato ricorso alla Corte EDU, i giudici di Strasburgo – pur con risicata maggioranza, quattro voti contro tre, dopo aver ricordato che la nozione di “vita privata” è ampia e non si presta ad una definizione esaustiva, coprendo l’integrità fisica e morale di una persona e molteplici aspetti della sua identità fisica e sociale – hanno rilevato che il dispositivo GPS era stato installato sul veicolo che l’azienda aveva messo a disposizione del lavoratore per i suoi viaggi di lavoro, ma autorizzato anche all’uso del veicolo per fini privati a condizione che le spese relative ai chilometri percorsi per spostamenti privati fossero rimborsate al datore di lavoro. È inoltre emerso che il ricorrente aveva firmato il documento predisposto dal datore di lavoro che riguardava l’installazione di tale dispositivo e le ragioni di tale misura, specificando – stante il diritto di controllo delle spese – sull’avvio di un procedimento disciplinare nei confronti di «qualsiasi dipendente in caso di incongruenze tra i dati chilometrici forniti dal GPS e le informazioni fornite dai dipendenti».

Cosicché, chiosano i giudici della Corte EDU rispetto alle doglianze del lavoratore, non vi è stata né violazione dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (diritto al rispetto della vita privata e familiare), né dell’art. 6 della medesima Convenzione (diritto ad un processo equo), allorché il ricorrente sostenne che la procedura relativa al suo licenziamento si era basata solo sulla raccolta illegittima dei dati di geolocalizzazione accolti dai giudici nazionali. Mentre, al contrario, dalle sentenze si evince che il licenziamento non si è basato unicamente sui dati di geolocalizzazione contestati «ma su un corpus di prove, tra cui il fascicolo del procedimento disciplinare, la relazione tecnica della società informatica» e le dichiarazioni testimoniali (Corte EDU, Strasburgo, dicembre 2022).

Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 20A22 del 21/12/2022