Licenziamento e Statuto dei lavoratori

Con ordinanza del Tribunale ordinario, Sezione lavoro, è stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 7, secondo periodo, della Legge n. 300/1970 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), così come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), Legge n. 92/2012 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita); per violazione degli artt. 1, 3, 4, 24 e 35 della Costituzione, nello specifico, «nella parte in cui prevede che, in caso di insussistenza del fatto, per disporre la reintegra occorra un quid pluris rappresentato dalla dimostrazione della “manifesta” insussistenza del fatto stesso», posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Ebbene, premesso che nell’attuazione dei principi sanciti dagli artt. 4 e 35 Cost., il giudice è chiamato a ponderare la particolarità di ogni vicenda, individuando ogni volta la tutela più efficace, tuttavia, al fatto concreto si devono ricondurre l’effettività e la genuinità della scelta imprenditoriale, senza «sconfinare in un sindacato di congruità e di opportunità».

Perciò, nell’ambito del licenziamento economico, la previsione del carattere “manifesto” di una insussistenza del fatto, già da se presenta profili di irragionevolezza intrinseca, con la conseguenza che «il requisito della manifesta insussistenza demanda al giudice una valutazione sfornita di ogni criterio direttivo e per di più priva di un plausibile fondamento empirico». Ovvero: «non solo il riferimento alla manifesta insussistenza non racchiude alcun criterio idoneo a chiarirne il senso», ma «esso entra anche in tensione con un assetto normativo che conferisce rilievo al fatto e si prefigge in tal modo di valorizzare elementi oggettivi, in una prospettiva di immediato e agevole riscontro».

In sintesi, facendo leva su un requisito indeterminato, la disposizione censurata si riflette sul processo di cognizione complicandone «taluni passaggi, con un aggravio irragionevole e sproporzionato», che impegna altresì «le parti, e con esse il giudice, nell’ulteriore verifica della più o meno marcata graduazione dell’eventuale insussistenza». Sicché, per tali ragioni, è costituzionalmente illegittimo l’art. 18, settimo comma, secondo periodo dello Statuto dei lavoratori, limitatamente alla parola «manifesta» (Corte Costituzionale, Sent. 125/22).

Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 07A22 del 20/05/2022