Collaborazione con la giustizia

I detenuti che ritengono di non collaborare con la giustizia possono essere distinguibili in due fattispecie: il silente “per sua scelta”, ovvero chi “oggettivamente può, ma soggettivamente non vuole”, ed il silente “suo malgrado”, vale a dire chi “soggettivamente vuole, ma oggettivamente non può”. Ebbene, su questo presupposto, la Consulta ha escluso che tale differenziazione determini una lesione del principio di uguaglianza nei casi in cui il detenuto in espiazione pena avanzi richiesta di permesso-premio. Infatti, proprio sul presupposto che il condannato per reati ostativi deve sottostare a regole dimostrative più o meno rigorose a seconda delle ragioni per cui non ha collaborato con la giustizia, ecco che tali regole sono necessariamente più rigorose per chi sceglie di non collaborare pur potendolo fare, rispetto a quando, viceversa, la collaborazione risulti impossibile in quanto i fatti criminosi sono già stati integramente accertati; oppure inesigibile a causa della limitata partecipazione ai fatti in esame, con la conseguente inutilità della collaborazione ai fini di giustizia.

Tuttavia, la Corte, nel dichiarare non fondate le censure sollevate dal Magistrato di sorveglianza, ha osservato che il carattere volontario della scelta di non collaborare costituisce – secondo esperienza consolidata – un oggettivo sintomo di allarme tale da esigere un regime rafforzato di verifica, esteso all’acquisizione anche di elementi idonei ad escludere il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata da parte del soggetto interessato, senza i quali la decisione sulla propria istanza finalizzata alla concessione del permesso premio si arresta già sulla soglia dell’ammissibilità.

Allorquando, viceversa, la collaborazione non potrebbe comunque essere prestata, ai fini del superamento del regime ostativo può essere verificata la sola mancanza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata.

In conclusione, chiosano i giudici delle leggi, questo non significa «che le motivazioni e le convinzioni soggettive di tutti detenuti non collaboranti (per scelta o per impossibilità), su cui il giudice rimettente ha appuntato larga parte della sua attenzione, siano irrilevanti», e che quindi «la loro valutazione potrà sempre avvenire, ed essere opportunamente valorizzata, nella fase dell’esame concernente la valutazione della “meritevolezza” del permesso premio richiesto» (Corte cost. Sent. 20/22, decisione del 30/11/2021, deposito del 25/01/2022).

Criminologia Penitenziaria (ISSN 2704-9094 Online). Numero 03E22 del 27/01/2022