Concorre nel reato di diffamazione il blogger che consapevole della presenza di un commento offensivo pubblicato sulla sua piattaforma non lo rimuove quanto prima. Nel caso in esame, la Corte di Appello confermava la condanna in primo grado dell’imputato «alla pena di giustizia ed al risarcimento del danno per il reato di diffamazione, consistita nel consentire che venisse pubblicato e permanesse nel suo blog personale il commento di un utente non identificato» dove si accusava di vicinanza alla mafia alcune persone.
Sicché, «inquadrato in fatto la figura dell’amministratore del blog come soggetto che gestisce un mezzo che consente a terzi di interagire in esso tramite la pubblicazione anche in forma anonima di contenuti, commenti, considerazioni o giudizi e che il blog, pur essendo strumento di informazione non professionale» è comunque «idoneo a divulgare quegli stessi contenuti tra un vasto pubblico di utenti, che hanno, per le stesse caratteristiche del mezzo, la possibilità di accedervi liberamente», ne consegue che «la condotta contestata all’imputato ricade nella previsione incriminatrice del reato di diffamazione aggravata in quanto consumato con strumenti di pubblicità via internet». Su tali presupposti, quindi, anche «l’account personale di facebook diventa una pubblica piazza virtuale aperta al libero confronto, anche se solo tra gli utenti registrati, come in caso di un forum chiuso».
Perciò, non essendo i gestori di siti internet, blog e simili equiparabili ai direttori responsabili dei giornali, la responsabilità del fatto loro contestato deve «essere ricostruita in base alle comuni regole del concorso nel reato, oltre che per attribuzione diretta, qualora l’autore dello scritto denigratorio pubblicato sul blog sia il medesimo gestore».
E dunque, nel caso di specie, si è «delineata la possibile attribuibilità della diffamazione a titolo di concorso, individuato nella consapevole condivisione del contenuto lesivo dell’altrui reputazione, con ulteriore replica della offensività realizzata tramite il mantenimento consapevole sul blog dello scritto diffamante», e che «la mancata tempestiva attivazione del gestore del blog nella rimozione di proposizioni denigratorie costituisca adesione volontaria ad esse, con l’effetto a questo punto voluto di consentirne l’ulteriore divulgazione».
Infine, anche dal punto di vista dell’ipotesi difensiva circa la non punibilità per particolare tenuità della condotta dell’imputato, la stessa è stata esclusa in quanto i fatti contestati sono stati «giudicati di non modesto impatto, dando quindi conto della mancata esiguità del danno prodotto dal reato» (Cass. V Pen. Sent. 45680/22).
Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 18A22 del 10/12/2022