Trattamenti inumani e degradanti

Il caso oggi proposto riguarda la recente decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con la quale ha condannato l’Italia a risarcire un detenuto per avergli arrecato «un pregiudizio morale certo a causa del suo mantenimento in detenzione senza un programma di cure adeguato al suo stato di salute». Il ricorso alla Corte ha riguardato il mantenimento in regime carcerario ordinario del reo nonostante i giudici ne avessero disposto il ricovero in una REMS (Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza).

Brevemente, dal fascicolo sanitario del carcere risultava che il ricorrente «continuava a soffrire di un disturbo di personalità e di un disturbo bipolare, e che il suo stato di salute mentale era instabile e caratterizzato da idee di grandezza e di persecuzione al limite del delirio». Inoltre, lo psichiatra del penitenziario «sottolineò che il ricorrente non era affatto consapevole che era malato e doveva farsi curare, e che, per quanto riguarda la terapia farmacologica prescritta, era soggetto a periodi di alternanza tra l’accettazione e il rifiuto». Tuttavia, nonostante il Magistrato di sorveglianza decideva per «l’applicazione immediata della detenzione in REMS per un anno, ritenendo che tale misura fosse l’unica adeguata tenuto conto della pericolosità sociale del ricorrente», tutte le strutture contattate dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria risposero negativamente per «indisponibilità di posti», con la conseguenza che l’ordinanza che disponeva il ricovero in REMS non fu mai eseguita.

Ebbene, la Corte EDU, oltre a rammentare che lo «Stato è tenuto, nonostante i problemi logistici e finanziari, ad organizzare il proprio sistema penitenziario in modo da assicurare ai detenuti il rispetto della loro dignità umana», ha ribadito che l’eventuale «ritardo nell’ottenimento di un posto non può durare all’infinito ed è accettabile soltanto se debitamente giustificato». Pertanto, siccome «spetta ai governi organizzare il proprio sistema penitenziario in modo da garantire il rispetto della dignità dei detenuti, indipendentemente da qualsiasi difficoltà economica o logistica», la suddetta “indisponibilità di posti” non può considerarsi «come una giustificazione valida per il ritardo nell’esecuzione della misura». Perciò, in assenza di altre giustificazioni, la Corte ha concluso che le autorità italiane hanno violato la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, disponendo che «lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva», le seguenti somme: 36.400 euro, più l’importo eventualmente dovuto su tale somma a titolo di imposta, per danno morale; 10.000 euro, più l’importo eventualmente dovuto su tale somma dal ricorrente a titolo di imposta, per le spese (Corte EDU, Sentenza del 24 gennaio 2022 - Ricorso n. 11791/20).

Criminologia Penitenziaria (ISSN 2704-9094 Online). Numero 06E22 del 07/02/2022

Detenzione domiciliare speciale

Il Magistrato di sorveglianza ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 47-quinquies della Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario), per violazione degli artt. 3, 27, terzo comma, 30, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 3, paragrafo 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, e 24, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007.

Ebbene, ad avviso del rimettente, la disposizione censurata violerebbe le citate disposizioni nella parte in cui non è previsto per la detenzione domiciliare speciale l’applicazione provvisoria consentita dall’art. 47-ter, comma 1-quater, ordin. penit. per la detenzione domiciliare ordinaria, così che, in tal modo, sarebbe irragionevolmente preclusa la concessione urgente di una misura di tutela della prole di tenera età e verrebbero lesi i principi di umanità della pena, essenzialità della cura genitoriale e preminenza dell’interesse del minore.

Invero, il Magistrato di sorveglianza riferisce di dover provvedere sull’istanza di ammissione urgente alla detenzione domiciliare speciale avanzata da un condannato con pena residua superiore ai quattro anni di reclusione, padre di una figlia minore di anni dieci, all’accudimento della quale la madre sarebbe impossibilitata per ragioni di salute. Da qui discenderebbe la rilevanza delle questioni, poiché la denunciata lacuna normativa – non colmabile per via interpretativa – impedirebbe all’organo monocratico di esaminare la richiesta del genitore e di apprezzarne la conformità all’interesse della bambina.

Tanto premesso, concludono i giudici delle leggi, l’art. 47-quinquies, commi 1, 3 e 7, della Legge n. 354 del 1975 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 31 Cost., nella parte in cui non prevede che, ove vi sia un grave pregiudizio per il minore derivante dalla protrazione dello stato di detenzione del genitore, l’istanza di detenzione domiciliare può essere proposta al magistrato di sorveglianza, che può disporre l’applicazione provvisoria della misura, nel qual caso si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’art. 47, comma 4, della medesima normativa (Corte Cost., Sent. 30/22, decisione del 11/01/2022, deposito del 03/02/2022).

Criminologia Penitenziaria (ISSN 2704-9094 Online). Numero 05E22 del 05/02/2022

La videosorveglianza

Regole in materia di videosorveglianza in ambito personale o domestico (indicazioni del Garante per la protezione dei dati personali), ovvero, le persone fisiche possono attivare sistemi di videosorveglianza a tutela della sicurezza di persone o beni senza autorizzazione e formalità, a condizione che: 1) le telecamere siano idonee a riprendere solo aree di propria esclusiva pertinenza; 2) vengano attivate misure tecniche per oscurare porzioni di immagini in tutti i casi in cui, per tutelare adeguatamente la sicurezza propria o dei propri beni, sia inevitabile riprendere parzialmente anche aree di terzi; 3) nei casi in cui sulle aree riprese insista una servitù di passaggio in capo a terzi, sia acquisito formalmente (una tantum) il consenso del soggetto titolare di tale diritto; 4) non siano oggetto di ripresa aree condominiali comuni o di terzi; 5) non siano oggetto di ripresa aree aperte al pubblico (strade pubbliche o aree di pubblico passaggio); 6) non siano oggetto di comunicazione a terzi o di diffusione le immagini riprese.



Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 04A22 del 01/02/2022