L’ambivalenza del potere

Franco Crespi (1930-2022), estratto da MicroMega 4/86, pp. 143-169: «Un tentativo di approccio fenomenologico ai molteplici e contraddittori elementi del potere. Solo chiedendoci che cosa esso sia possiamo comprendere come esso operi. La sua funzione e ineliminabile nel contesto sociale, tanto quanto lo e la disuguaglianza. È in questa prospettiva che si deve porre il problema dell’emancipazione». Coscienza e mediazione simbolica. «Per comprendere il significato che il potere assume all’interno della situazione esistenziale occorre tener presenti anzitutto le due dimensioni costitutive di quest’ultima: la riflessività o autocoscienza e l’esigenza di mediazioni simboliche. È noto che la tradizione razionalistica e scientistica del secolo scorso ha tentato di eliminare per quanto possibile la soggettività dal campo scientifico, cercando di studiare il comportamento umano in termini meccanicistici o di calcolo utilitaristico. Tuttavia, lo stesso sviluppo dell’epistemologia contemporanea della scienza, riconoscendo il carattere convenzionale e intersoggettivo dell’oggettività scientifica, ha finito con il restituire una funzione centrale alla dimensione soggettiva e al problema dell’intenzionalità e del senso. Quando oggi i filosofi parlano della fine del soggetto essi si  riferiscono in realtà, anche se non sempre in modo pienamente consapevole e privo di equivoci, alla crisi del soggetto cartesiano, la cui coscienza era concepita come centro di idee chiare e distinte e di scelte volontarie. In contrapposizione alia concezione della metafisica razionalista, la critica nihilista di Nietzsche, da un lato, e il materialismo dialettico di Marx dall’altro, hanno, anche se in maniera diversa, insistito infatti sul carattere di prodotto della coscienza. In Nietzsche il soggetto appare come maschera, pura illusione fenomenica creata dal gioco delle relazioni simboliche (G. Vattimo, 1974), mentre è noto che in Marx la coscienza è vista come il riflesso di condizionamenti storico-sociali. Ma è soprattutto con Freud che la coscienza ha perso il carattere libero e trasparente che le attribuiva Descartes: essa appare al contrario come travestimento inconsapevole, tramite processi di razionalizzazione e rimozione, di pulsioni profonde dell’inconscio e come “campo di lotta fra tendenze contrapposte fra loro” (S. Freud, 1967-1979). In questa stessa direzione oggi la psicologia sociale e la filosofia analitica sono venute sempre più sottolineando la presenza nella mente umana di dissonanze cognitive, di meccanismi di autoinganno (self-deception) e di “falsa coscienza” (L. Festinger, 1973; H. Fingarette, 1969; P. Gardiner, 1969-1970; W. G. Runciman, 1970; A. Rorty, 1972; J. Elster, 1983)».