In materia di porto d'armi e affidabilità del soggetto istante, il rinnovo della licenza di porto di fucile per l'esercizio venatorio può essere negato anche in assenza di condanna per reati specifici. Scrivono i giudici: «Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale [...] la licenza di portare armi può essere negata anche in assenza di sentenza di condanna per specifici reati, quando, per circostanze legate alla sua condotta, sia assente la presumibile certezza della completa affidabilità del soggetto. Ai fini di tale giudizio di affidabilità l’Autorità amministrativa può comunque valorizzare nella loro oggettività i fatti di reato (o comunque anche vicende e situazioni personali del soggetto che non assumano rilevanza penale) concretamente avvenuti, per desumerne la pericolosità, o, comunque, la non completa affidabilità di colui che li ha commessi, anche quando non si tratti di precedenti specifici connessi proprio al corretto uso delle armi; ed invero, possibili, cattivi, usi dell’arma, di per sé incidenti sulla valutazione di affidabilità che l’Autorità è chiamata a compiere, ben possono temersi da un soggetto, che, come appunto accade nel caso di specie, non risulta indenne da mende e non ha osservato, nel passato anche recente, una condotta di vita improntata alla osservanza delle norme penali e di tutela dell’ordine pubblico» (cfr. Consiglio di Stato, Sezione Terza, Sentenza n. 3979/2013, depositata in segreteria il 29.7.2013).
Errori giudiziari e responsabilità
Come riporta l’ANSA [1], la Commissione Ue ha deciso di aprire una procedura d'infrazione contro l'Italia per i limiti posti alla responsabilità civile dei giudici nell'applicazione del diritto europeo. L'iniziativa nasce dal mancato rispetto della condanna decretata per lo stesso motivo dalla Corte di giustizia Ue nel novembre 2011. A tutto questo si aggiunge, mi permetto di osservare, l’ulteriore poco confortante notizia che riguarda il cospicuo numero di casi di riparazione per ingiusta detenzione [2].
Incentivi all’occupazione
L’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), con la circolare n. 131 del 17 settembre 2013 di seguito allegata, ha reso note le modalità operative per fruire dell’incentivo spettante ai datori di lavoro che assumono lavoratori di età compresa tra i 18 ed i 29 anni con contratto di lavoro a tempo indeterminato. Si da così concreta attuazione al disposto di cui all'articolo 1 del Decreto-Legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito con modificazioni, dalla Legge 9 agosto 2013, n. 99, con cui è stato istituito, seppur in via sperimentale, il suddetto incentivo al fine di stimolare l’occupazione nel nostro Paese. Download circolare.
Sicurezza nei luoghi di lavoro
Sicurezza nei luoghi di lavoro. Il lavoratore che si rifiuta di utilizzare i DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) messi a sua disposizione dal datore di lavoro, può essere licenziato. Nel caso in esame il dipendente era già stato raggiunto da contestazioni e sanzioni disciplinari conservative per essersi appunto rifiutato di ricevere i DPI, rendendosi dunque responsabile della violazione delle disposizioni normative in materia di salute e sicurezza sul lavoro. A nulla sono valse le argomentazioni difensive prodotte in sede processuale durante tutti i tre gradi di giudizio (cfr. Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza n. 18615/2013, in CEDAM-UTET).
Disconoscimento di paternità
In tema di disconoscimento di paternità, l’indagine sul Dna per accertare preventivamente la consanguineità col figlio non può essere condotta attraverso un prelievo occulto del materiale idoneo alla comparazione (incaricando ad esempio un investigatore privato), poiché è necessario il consenso della persona interessata. Del resto, l’indagine poteva essere eseguita nel corso del giudizio e l’eventuale rifiuto ingiustificato dell’interessato a sottoporsi all’esame avrebbe certamente costituito un comportamento processuale d’indiscutibile rilievo probatorio (cfr. Corte di Cassazione, Sezione I Civile, Sentenza n. 21014/2013, in Diritto e Giustizia).
Riforma geografia giudiziaria
Intervento al Senato del Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri.
Sicurezza sul lavoro in ambito agricolo
Solo in Umbria nell’ultimo mese circa sono decedute quattro persone, oltre diversi feriti, dei quali alcuni anche gravi. Questo è il bilancio negativo relativo alle cosiddette morti bianche nell’ambiente agricolo. Decessi avvenuti perlopiù a causa di ribaltamento dei mezzi meccanici sui quali le vittime erano intente a eseguire lavori di routine.
Sono d’accordo con chi sostiene che il settore dell’agricoltura in Umbria e in tante altre parti d’Italia presenta elevate evidenti criticità, riconducibili alla conformazione del territorio (collinare e montano), nonché a un parco machine rappresentato da tanti come drammaticamente obsoleto; ma proprio in situazioni notoriamente a maggior rischio si richiedono maggiori misure di sicurezza: «Ad estremo rischio deve inevitabilmente corrispondere una estrema cautela. Anzi, se il rischio è estremo […], si impone una cautela di prudenza e diligenza che deve essere superiore all'estremo e cioè assoluta e totale» (cfr. Tribunale di Terni, 2002, est. Santoloci).
Non solo, proprio perché «di fronte ad un’attività conosciuta come estrema – e di fatto estrema è in senso pratico – si deve pretendere una osservanza di standard di sicurezza caso per caso più che estremi, addirittura assoluti e totali, in cui il fattore rischio per quella attività, per quel soggetto, per quel luogo, sia ridotto all’evento imprevisto ed imprevedibile» (ibidem).
Ebbene, quello che invece in pochi rilevano in maniera marcata – o addirittura neanche sono sfiorati dal problema – è la mediocre educazione alla sicurezza che regna in tutto il settore; un po’ come avviene per l’ambito venatorio, dove tanti praticanti credono di essere portatori di chissà quali conoscenze in materia balistica ignorando però che trattasi di una vera e propria scienza, il cui approccio non può essere di tipo avventuristico, mosso da puro autodidattismo, ma caratterizzato da una forma mentis e conoscenze propedeutiche improbabili per molti di loro.
Pertanto, anche in ambiti come quello agricolo non si può pensare di essere provetti analisti di tutto: della sicurezza, ad esempio, tanto per restare in tema. Stesso discorso vale per tutti gli altri operatori dell’indotto, i quali spesso – a suon di sentito dire – s’improvvisano tuttologi.
Rinnovare dunque l’intero parco macchine (agricole s’intende) non conduce de plano alla risoluzione del fenomeno sinistri sul lavoro in tale ambito. È un’assurdità solo pensarlo, figuriamoci insistere solo su questo tema come invece spesso si legge o si ascolta attraverso i media.
Non solo, a ogni nuovo incidente in molti invocano l’intervento delle istituzioni nazionali e regionali. Ebbene, per fare cosa? Che cosa dovrebbero fare le istituzioni? Forse gli si chiede di legiferare ex novo a ogni evento sinistroso? Forse qualcuno pensa che la repressione – attraverso l’inasprimento delle sanzioni – sia un valido e unico deterrente? Nulla di più sbagliato, i fatti dimostrano giustappunto il contrario.
Allora credo che vada abbandonata ogni forma di campanilismo e dichiarazioni propagandistiche, avviando invece dal basso una politica seria di indottrinamento alla cultura della sicurezza. Solo in questo modo, a mio modesto avviso, si otterranno dei validi risultati.
Webgrafia
Tribunale di Terni, Sezione Penale, Sentenza 4 luglio 2002. Presidente ed estensore Santoloci
http://www.corrieredellumbria.it/notizie/in-un-mese-in-umbria-4-morti-in-agricoltura-la-cgi/0015125
Terre e rocce da scavo
Decreto-Legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia). Gazzetta Ufficiale n.144 del 21.6.2013 – Supplementi Ordinari n. 50. Entrata in vigore del provvedimento: 22.6.2013. Convertito con modificazioni dalla LEGGE 9 agosto 2013, n. 98. Gazzetta Ufficiale n. 194 del 20.8.2013 – Supplementi Ordinari n. 63. Entrata in vigore del provvedimento: 21.8.2013.