Solo in Umbria nell’ultimo mese circa sono decedute quattro persone, oltre diversi feriti, dei quali alcuni anche gravi. Questo è il bilancio negativo relativo alle cosiddette morti bianche nell’ambiente agricolo. Decessi avvenuti perlopiù a causa di ribaltamento dei mezzi meccanici sui quali le vittime erano intente a eseguire lavori di routine.
Sono d’accordo con chi sostiene che il settore dell’agricoltura in Umbria e in tante altre parti d’Italia presenta elevate evidenti criticità, riconducibili alla conformazione del territorio (collinare e montano), nonché a un parco machine rappresentato da tanti come drammaticamente obsoleto; ma proprio in situazioni notoriamente a maggior rischio si richiedono maggiori misure di sicurezza: «Ad estremo rischio deve inevitabilmente corrispondere una estrema cautela. Anzi, se il rischio è estremo […], si impone una cautela di prudenza e diligenza che deve essere superiore all'estremo e cioè assoluta e totale» (cfr. Tribunale di Terni, 2002, est. Santoloci).
Non solo, proprio perché «di fronte ad un’attività conosciuta come estrema – e di fatto estrema è in senso pratico – si deve pretendere una osservanza di standard di sicurezza caso per caso più che estremi, addirittura assoluti e totali, in cui il fattore rischio per quella attività, per quel soggetto, per quel luogo, sia ridotto all’evento imprevisto ed imprevedibile» (ibidem).
Ebbene, quello che invece in pochi rilevano in maniera marcata – o addirittura neanche sono sfiorati dal problema – è la mediocre educazione alla sicurezza che regna in tutto il settore; un po’ come avviene per l’ambito venatorio, dove tanti praticanti credono di essere portatori di chissà quali conoscenze in materia balistica ignorando però che trattasi di una vera e propria scienza, il cui approccio non può essere di tipo avventuristico, mosso da puro autodidattismo, ma caratterizzato da una forma mentis e conoscenze propedeutiche improbabili per molti di loro.
Pertanto, anche in ambiti come quello agricolo non si può pensare di essere provetti analisti di tutto: della sicurezza, ad esempio, tanto per restare in tema. Stesso discorso vale per tutti gli altri operatori dell’indotto, i quali spesso – a suon di sentito dire – s’improvvisano tuttologi.
Rinnovare dunque l’intero parco macchine (agricole s’intende) non conduce de plano alla risoluzione del fenomeno sinistri sul lavoro in tale ambito. È un’assurdità solo pensarlo, figuriamoci insistere solo su questo tema come invece spesso si legge o si ascolta attraverso i media.
Non solo, a ogni nuovo incidente in molti invocano l’intervento delle istituzioni nazionali e regionali. Ebbene, per fare cosa? Che cosa dovrebbero fare le istituzioni? Forse gli si chiede di legiferare ex novo a ogni evento sinistroso? Forse qualcuno pensa che la repressione – attraverso l’inasprimento delle sanzioni – sia un valido e unico deterrente? Nulla di più sbagliato, i fatti dimostrano giustappunto il contrario.
Allora credo che vada abbandonata ogni forma di campanilismo e dichiarazioni propagandistiche, avviando invece dal basso una politica seria di indottrinamento alla cultura della sicurezza. Solo in questo modo, a mio modesto avviso, si otterranno dei validi risultati.
Webgrafia
Tribunale di Terni, Sezione Penale, Sentenza 4 luglio 2002. Presidente ed estensore Santoloci
http://www.corrieredellumbria.it/notizie/in-un-mese-in-umbria-4-morti-in-agricoltura-la-cgi/0015125