Stato e cittadini

Ludwig Gumplowicz (1838-1909), Il concetto sociologico dello Stato.

Richiamo all’introduzione del testo. Secondo Gumplowicz, considerato uno dei padri fondatori della sociologia, lo Stato nasce dall’assoggettamento di un gruppo sociale da parte di un altro gruppo, con la conseguenza che lo Stato altro non è la somma delle istituzioni che hanno per scopo il dominio degli uni sugli altri. Un dominio che – essendo esercitato da una minoranza su una maggioranza – per sua natura è sempre instabile. Il diritto interno ad uno Stato è dunque la risultante dei rapporti di forza tra i gruppi contrapposti, ovvero è il risultato di una continua lotta per il potere tra diversi gruppi sociali (teoria conflittuale o sociologia conflittualista).

Il punto centrale di Gumplowicz risiede proprio nello studio rigorosamente realistico del potere politico, e dunque del concetto di Stato come strumento della nazione o della razza, dove il diritto è frutto del conflitto tra gruppi al punto che quando una maggioranza assoggetta una minoranza si genera instabilità. Perciò, è la negoziazione continua tra maggioranza e minoranza che permette di mantenere saldo il dominio dello Stato.

Ebbene, aggiungo: il concetto di mantenere saldo il “dominio” dello Stato, somiglia a qualcosa di verso opposto rispetto al perseguimento dell’interesse collettivo? E se tale assunto fosse l’alibi, nemmeno tanto velato, per tutelare i soli interessi delle caste? E da quest’ultimo punto di vista, possono esserne un esempio talune scelte liberticide accondiscese anche dalle minoranze?

Spesso si ha la sensazione – chiedo scusa ai lettori se mi permetto prendere spunto da Platone – che chi detiene il potere cerca semplicemente di accrescerlo favorendo i propri amici, come se l’agire politico obbedisce sempre ad interessi personali, con la conseguenza che è inutile, o almeno ipocrita, cercare di cambiare la situazione.

Tuttavia, e concludo, resto dell’assoluta convinzione che il malaffare vada sempre denunziato.

La fede scomparsa

Janine Di Giovanni, La fede scomparsa. Il tramonto del Cristianesimo nella terra dei profeti.

Il Cristianesimo è nato, si è sviluppato ed affermato in Medio Oriente. Oggi, però, in molti paesi di quell’area le comunità cristiane sono quotidianamente minacciate ed il rischio che si estinguano è reale. I fedeli diminuiscono sempre più, costretti a fuggire dalle terre dove camminarono a lungo i loro profeti, dove predicò Gesù e dove i grandi padri della Chiesa stabilirono le norme dottrinali che vivono ancora oggi. Dalla Siria all’Egitto, dal nord dell’Iraq alla Striscia di Gaza, antiche comunità, luoghi di nascita di santi e profeti, stanno perdendo ogni legame con la religione che è sempre stata un tratto così caratteristico della loro vita sociale e culturale. In questo libro d’inchiesta giornalistica l’autrice si è messa sulle tracce delle ultime comunità cristiane dove ancora oggi sopravvivono i più antichi rituali della religione cristiana, portando il lettore fin dentro le case degli ultimi cristiani del Medio Oriente, prima che delle loro vite e tradizioni non resti più memoria.

Ebbene, in via più generale, aggiungo e concludo con alcune domande e riflessioni: nell’epoca dei consumi, della tecnologia e della discussa o discutibile intelligenza artificiale, trova ancora spazio la religione? E se sì, dove e come si colloca su una scala di valori? Ed inoltre: in che modo, e fino a che punto, la fede religiosa influenza le emozioni orientandone i comportamenti in maniera più o meno razionale? E se invece fosse proprio la religione il rifugio ideale dalle paure e minacce artatamente veicolate ed insinuate nell’immaginario collettivo?