Diffamazione aggravata

Nella ipotesi delittuosa di diffamazione commessa attraverso l’utilizzo delle piattaforme social – come nel caso qui in esame –, i giudici di legittimità hanno ribadito il consolidato orientamento secondo cui «il diritto di critica si concretizza in un giudizio valutativo che, postulando l’esistenza del fatto elevato a oggetto o spunto del discorso critico, trova una forma espositiva non ingiustificatamente sovrabbondante rispetto al concetto da esprimere; di conseguenza va esclusa la punibilità di coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale, purché tali modalità espressive siano adeguate e funzionali all’opinione o alla protesta, in correlazione con gli interessi e i valori che si ritengono compromessi».

Sicché, se da un lato «la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale e non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica», dall’altro lato è necessario che «occorre rispettare il requisito della continenza delle espressioni utilizzate per esprimere la propria opinione».

Tuttavia, in materia di diffamazione a mezzo stampa in generale, oppure come nel caso qui in trattazione, vale a dire con l’utilizzo delle piattaforme social, «il diritto di critica politica consentito, che trova fondamento nell’interesse all’informazione dell’opinione pubblica e nel controllo democratico nei confronti degli esponenti politici e dei pubblici amministratori, non deve comunque essere avulso da un nucleo di verità» (Cassazione Penale 46496/2023).