Mobbing e Straining

In materia di tutela della personalità morale del lavoratore, nella qualificazione tra mobbing e straining ciò che conta è che il fatto commesso, anche isolatamente, riconduca alla «violazione di interessi protetti del lavoratore al più elevato livello dell’ordinamento», vale a dire: integrità psicofisica, dignità, identità personale, partecipazione alla vita sociale e politica.

Sicché, «la reiterazione, l’intensità del dolo, o altre qualificazioni della condotta sono elementi che possono incidere eventualmente sul quantum del risarcimento ma è chiaro che nessuna offesa ad interessi protetti al massimo livello costituzionale come quelli in discorso può restare senza la minima reazione e protezione rappresentata dal risarcimento del danno, a prescindere dal dolo o dalla colpa datoriale, come è proprio della responsabilità contrattuale in cui è invece il datore che deve dimostrare di aver ottemperato alle prescrizioni di sicurezza».

Di fatto, siccome lo straining è «una forma attenuata di mobbing perché priva della continuità delle vessazioni», se viene accertato, la «domanda di risarcimento del danno deve essere comunque accolta», perciò: il giudice «nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali le domande medesime risultino contenute, dovendo, per converso, aver riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, sì come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia in relazione alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell’effettivo suo contenuto sostanziale. In particolare, il giudice non può prescindere dal considerare che anche un’istanza non espressa può ritenersi implicitamente formulata se in rapporto di connessione con il petitum e la causa petendi» (Cass. Sez. Lav. Ord. 29101/2023).

Delitti contro l’eguaglianza

Un conto è manifestare in favore di un Popolo che rivendica dei diritti, altro è inneggiare a dei criminali. Spunti per una riflessione collettiva.

Preliminarmente, c’è da rilevare che se da un lato sempre più persone sembrano non nutrire particolare fiducia nella giustizia, ergo nella magistratura, dall’altro lato va altrettanto sottolineato che in una democrazia, o comunque ciò che resta di essa, gli unici modi per far prevalere il principio di legalità sono due: il primo, banalmente, non violare le norme stabilite dall’ordinamento; il secondo, deferire all’autorità giudiziaria chi dette norme le vìola.

Tanto premesso, con il Decreto Legislativo 1 marzo 2018, n. 21, il nostro legislatore, a proposito di “delitti contro l’eguaglianza”, ritenne inserire nel codice penale l’art. 604-bis proprio in tema di “propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa”.
Il testo normativo, al di là della pena stabilita, qui non rileva, prevede la reclusione nei confronti di chi «propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi»; nonché, la reclusione nei confronti di chi «in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi» (sottolineatura da me aggiunta).

Ma non è tutto, infatti, si legge sempre nell’art. 604-bis c.p.: «è vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi»; ed è altresì punito «chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività»; oltre a «coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi».

Un miracolo per l’Italia

Dalla copertina del libro “Un miracolo per l’Italia”. Magdi Cristiano Allam (2023).

«Stiamo assistendo e subendo uno scontro planetario dopo la fine del Mondo bipolare. Stati Uniti, Nato e Unione Europea promuovono un Nuovo Ordine Mondiale unipolare; scatenano guerre finanziarie, ideologiche, biologiche, psicologiche e convenzionali, con il rischio dell’apocalisse nucleare. In gioco c’è il futuro dell’Occidente, con il venir meno della supremazia del dollaro, lo strapotere della grande finanza speculativa globalizzata, il Mondo sottomesso a un debito incontenibile e inestinguibile, l’orientamento a trasformare l’umano in transumano e la realtà in virtualità tramite la digitalizzazione, robotizzazione, intelligenza artificiale, biotecnologie, manipolazione genetica. La civiltà dell’Europa è decaduta perché ha rinnegato se stessa, è stato un suicidio non un omicidio, come accadde all’Impero Romano d’Occidente nel 476. L’Italia ha perso la sovranità e l’indipendenza. La popolazione si estingue perché non si fanno figli. La democrazia si è rivelata partitocrazia consociativa. Il potere giudiziario ha preso il sopravvento su quello legislativo e esecutivo. Lo Stato è collassato perché oneroso, corrotto e inefficiente. L’economia reale è stata saccheggiata dalla finanza speculativa. La micro dimensione del localismo viene fagocitata dalla macro dimensione del globalismo, sia che si tratti di imprese, banche o istituzioni pubbliche. Le Forze dell’Ordine sono impossibilitate a garantire la sicurezza. Le Forze Armate sono inadeguate a difendere il territorio nazionale. Solo un miracolo potrà farci rinascere come civiltà, salvarci come popolo, riscattarci come Patria».

Ebbene, conosco Magdi da molto tempo e spesso ci confrontiamo su diversi temi. Un uomo dal garbo, educazione e generosità rari in una società come quella in cui viviamo. Le sue analisi sono sempre lucide e dettate da elevata cultura. Condivido gran parte delle sue riflessioni, ma non necessariamente sono d’accordo su tutto. Del resto tra studiosi-sociologi, quali entrambi siamo, è naturale sia così, diversamente sarebbe un problema. Diciamo che, probabilmente, il mio essere anche giurista porta a compiere una lettura dei fenomeni sociali in chiave parzialmente diversa.