Disturbo del comportamento

La Corte di Appello di Roma confermava la sentenza di primo grado con la quale Tizia fu ritenuta responsabile del reato di furto aggravato e continuato, affermando che «la tesi sostenuta dal perito, secondo il quale la cleptomania non è una malattia mentale, ma un disturbo del comportamento che incide sull’imputabilità soltanto nel caso in cui si riesca a dimostrare che il reato è stato posto in essere per un impulso improvviso e non controllabile, fosse più attendibile, perché sostenuta da ampia letteratura scientifica, rispetto alla contraria tesi sostenuta dal consulente di parte, il quale ha ritenuto che, a causa della diagnosticata cleptomania, Tizia potesse essere anche per un tempo prolungato in condizioni psichiche di totale infermità mentale per un crollo della volontà di natura psicopatologica».

La stessa sentenza ha inoltre rilevato che «le concrete modalità dei fatti e, in particolare, l’immediata disponibilità di un paio di forbici (che l’imputata custodiva nella borsa e utilizzò per rimuovere gli strumenti antitaccheggio), dimostrano una preordinazione incompatibile con un impulso incontrollato. Ha sottolineato poi che il consulente di parte non ha fornito argomentazioni idonee a contestare la natura programmata dell'azione desumibile dal possesso di un tale strumento».

Ma non è tutto, infatti, i giudici di appello hanno altresì evidenziato che «il perdurare per giorni, o anche solo per ore, di una ideazione viziata, non è compatibile con la condotta concretamente tenuta dall’imputata, consistita nell’appropriarsi di capi di abbigliamento femminile non economici, scelti in base alle proprie personali esigenze: una condotta preordinata e razionale che non può essere considerata espressione di un impulso irrefrenabile». Inoltre: «tra i criteri per la diagnosi di cleptomania, vi è la ricorrente incapacità di resistere agli impulsi di rubare oggetti che non sono necessari per un uso personale o per un valore economico, situazione ben diversa da quella verificatasi nel caso di specie».

Ebbene, a nulla è valso il ricorso per cassazione, giacché la Suprema Corte lo ha dichiarato inammissibile condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali, e tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che la medesima non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, ha anche disposto a suo carico l’onere di versare la somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, importo così determinato in considerazione delle ragioni di inammissibilità (Cass. Sez. IV Pen. Anno 2023).

Dei delitti e delle pene

Alcune mie domande ed osservazioni preliminari. Posto su una scala dei valori: a quanti cittadini interessa realmente il fenomeno carcerario? A quanti interessa se in carcere si muore da suicida? A quanti interessa se gli operatori penitenziari sono vittime di aggressione un giorno sì e l’altro pure? Ed infine, si fa per dire: potrà mai la maggioranza delle persone avere una visione d’insieme di tali fenomeni diversa e soprattutto presa in autonomia (cioè scevra da interferenze propagandistiche) rispetto a quella oramai radicata?

Ebbene, a tal proposito propongo un classico, sempre attuale: Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene. Edizione commentata da Patrizio Gonnella e Susanna Marietti (2022), Torino, Giappichelli.

Estratto dall’introduzione del libro. «Leggere Dei delitti e delle pene è un’esperienza piena di sorprese. Di pagina in pagina si scoprono riflessioni, temi, argomentazioni che aprono veri e propri cantieri per ragionamenti ancora oggi per niente scontati nel dibattito pubblico. Cesare Beccaria costruisce grandiosamente un modello razionale di garanzie, di limiti imposti al potere pubblico a protezione dei diritti fondamentali di ogni persona. All’interno di questo sistema dai contorni geometrici, esplode lo spazio per la libertà, per la vita, per la dignità umana. Sono queste che il diritto deve proteggere. E deve farlo senza mai abusare del suo dovere di protezione, senza espandersi al di là dello spazio minimo necessario a svolgere il proprio ruolo. Il diritto penale deve assicurare, da un lato, efficacia nella tutela della sicurezza dei cittadini e, dall’altro, rispetto delle garanzie individuali. Ogni proibizione e ogni pena che non sia assolutamente necessaria di fronte a questo duplice scopo, afferma Beccaria, è illegittima. Una rivoluzione non solo giuridica ma anche culturale e politica, che mette in discussione la supremazia dello Stato rispetto ai diritti del singolo individuo. Il modello penalistico garantista di Beccaria si muove su diversi livelli. È una teoria filosofico-giuridica fondata su principi inderogabili, ma è anche una visione politica capace ad esempio di ragionare attorno alla prevenzione dei crimini e alla sua dimensione sociale, educativa, culturale. Non è certo alla sola repressione penale che possiamo affidarci per costruire una società migliore. Ogni capitolo del volume apre un dialogo fitto e ramificato con l’autore, in uno scambio di vedute che ci modifica le prospettive e ci interroga sulla realtà che è attorno a noi. Sono proprio questo dialogo e questa interrogazione che abbiamo voluto esplicitare nel nostro commento al testo».