George L. Mosse, La nazionalizzazione delle masse, Bologna, il Mulino.
In questo testo, ormai un classico, l’autore ha inteso scoprire le radici lontane del nazismo e misurare quanto esse hanno giocato sulla politica e l’organizzazione di massa dei regimi fascisti. I fenomeni di irreggimentazione così evidenti nella Germania hitleriana portano all’estremo un tipo di politica nei confronti delle masse che viene messo in atto a partire dall’Ottocento, con una “estetizzazione” della politica, una ritualità (i monumenti, le feste, le cerimonie), una organizzazione che coinvolgono le masse popolari nei valori e negli ideali borghesi e nazionali, in altri termini, le “nazionalizzano”.
Una “nuova politica”, quindi, ovvero quella “dei grandi numeri”, intesa come una politica che aveva bisogno di coinvolgere il maggior numero di persone ed in prospettiva le “masse”, alle quali andavano spiegate le nuove idee. Ma questa politica era “nuova” anche per un altro motivo, vale a dire che il suo “spiegare” la nazione non faceva appello alla ragione degli illuministi, alla solida cultura, alla indagine lucida e distaccata, del resto come avrebbe potuto essere altrimenti se si volevano coinvolgere nel discorso politico anche persone analfabete o semianalfabete? E come avrebbe potuto essere altrimenti se si voleva diffondere un discorso politico altamente innovativo e radicalmente eversivo degli assetti politici dominanti? Fu così che leader ed intellettuali fecero appello all’emozione, piuttosto che alla ragione; oppure al cuore, piuttosto che al cervello.
Ebbene, per altri versi, aggiungo, fu così ed è ancora così, ne sono prova inconfutabile i grandi temi attuali, volutamente artefatti attraverso strumenti e metodi che vanno a far leva sulla psiche delle persone, perlopiù di quelle scarsamente lungimiranti oppure discutibilmente attente.