Detenzione e colloqui intimi

Il presente contributo riguarda alcuni passaggi della recente ordinanza emessa dal Magistrato di Sorveglianza di Spoleto (PG), il quale, sospendendo un procedimento in corso, ha disposto la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale dichiarando «rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 ord. penit. nella parte in cui non prevede che alla persona detenuta sia consentito, quando non ostino ragioni di sicurezza, di svolgere colloqui intimi, anche a carattere sessuale, con la persona convivente non detenuta, senza che sia imposto il controllo a vista da parte del personale di custodia, per contrasto con gli art. 2, 3, 13 co. 1 e 4, 27 co. 3, 29, 30, 31, 32 e 117 co. 1 Cost, quest’ultimo in rapporto agli art. 3 e 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo».

In effetti, il detenuto si duole circa le conseguenze negative che sta avendo il suo rapporto di coppia con la compagna in assenza di intimità, anche in previsione del proprio futuro reinserimento sociale, nonché rispetto all’impossibilità di fruire di permessi premio previsti in suo favore e che dunque un colloquio intimo costituirebbe «l’unico strumento per esercitare il proprio diritto, un diritto che considera fondamentale, ad una serena relazione di coppia e ad assicurargli a pieno un ruolo genitoriale».

Ebbene, il Magistrato di Sorveglianza sostiene che «a venire in rilievo appare innanzitutto il diritto alla libera espressione della propria affettività, anche mediante i rapporti sessuali, quale diritto inviolabile riconosciuto e garantito, secondo il disposto dell’art. 2 Cost.», trattandosi appunto di un diritto cosi qualificato dalla stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale, per cui «non si dovrebbe essere privati, contrariamente a quanto invece accade, a fronte della proibizione normativa qui oggetto di perplessità costituzionale, anche nel contesto penitenziario (...), dove invece sono inibiti i rapporti sessuali delle persone detenute con il/la partner in libertà. Il carcere è d’altra parte certamente una formazione sociale in cui si svolge la personalità dei detenuti. Ciò non può che condurre ad interdire una completa inibizione dell’esercizio della affettività nella forma del rapporto sessuale con la persona convivente in libertà, che si realizza mediante una assoluta rinuncia da parte della legge a tentare ogni possibile bilanciamento con le eventuali ragioni di sicurezza che possano in taluni casi rivelarvisi ostative». Sicché, in tale modo, prosegue il magistrato, richiamando l’orientamento dei giudici delle leggi (Corte Cost. Sent. 349/1993 e Sent. 136/2018), «si finisce per compromettere nei confronti della persona detenuta un residuo spazio di libertà “tanto più prezioso in quanto costituisce l’ultimo ambito nel quale può espandersi la sua personalità individuale”» (Ordinanza depositata il 12.01.2023).

Criminologia Penitenziaria (ISSN 2704-9094 Online). Numero 01E23 del 23/01/2023