Le condizioni di detenzione

L’ultimo articolo dell’anno ho deciso di dedicarlo (rimandando ai rispettivi link) sia al corposo rapporto annuale dell’Osservatorio sulle condizione di detenzione, sia al rapporto dell’Osservatorio sugli Istituti Penali per Minorenni – entrambi frutto del lavoro di Antigone, Associazione autorizzata dal Ministero della Giustizia a visitare gli Istituti penitenziari italiani –, strumenti di conoscenza utili per chiunque abbia interesse all’ambito carcerario (mass media, studenti, oppure esperti di varia formazione). Per esempio, a proposito di lavoro e formazione professionale, come si legge nel rapporto sulle condizione di detenzione: «dalle nostre visite nei diversi istituti penitenziari italiani, il quadro che emerge in materia di lavoro e formazione professionale è assai variegato. Da un lato, troviamo situazioni virtuose in cui i detenuti svolgono tutti un’attività lavorativa (che sia alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria o per datori di lavoro diversi dal carcere), e all’estremo opposto istituti in cui le poche attività lavorative presenti sono quelle cosiddette domestiche alle dipendenze dell’amministrazione, come le pulizie, la cucina e la spesa. Discorso più complesso è quello che riguarda la formazione professionale che appare essere davvero carente in linea generale». Consulta il documento ufficiale.

Invece, con riguardo all’Istituto Penale per i Minorenni di Milano “Beccaria”, a proposito dei “nodi identificativi e problematici”, nel rapporto si legge che «il Beccaria non sembra più l’IPM-modello che era stato in passato. Esempio di un ottimo dialogo tra dentro e fuori, complice un contesto molto  recettivo e fertile come quello milanese. Anzi, colpisce il contrasto tra un quartiere intorno all’IPM in rapidissima espansione e un istituto ancora alla prese (dopo 15 anni) con una ristrutturazione eterna di cui ancora non si vede la fine. Il cantiere a cielo aperto che interessa buona parte dell’IPM è sintomatico di un istituto in eterna transizione, con una direzione “a scavalco” con altri istituti e la scelta di trasformare il Centro di prima accoglienza in reparto isolamento Covid. Piuttosto ambigua la gestione degli spazi detentivi attigui all’infermeria. Si tratta di celle chiuse e più anguste di quelle dei reparti ordinari che ospitano ragazzi non solo per ragioni sanitarie ma anche disciplinari e di mera organizzazione degli spazi. Le tante attività trattamentali proposte faticano a tradursi in percorsi significativi di inserimento lavorativo. Colpisce l’impegno di risorse umane e materiali da parte degli enti locali, unicum a livello nazionale». Ed ancora: «il clima detentivo appare piuttosto teso, nei due gruppi di “trattamento” in cui è organizzato l’istituto si percepiscono dinamiche volte ad enfatizzare la leadership di alcuni a scapito di altri, ma anche un percepibile livello di apatia e assenza da parte di numerosi ragazzi». Consulta il documento ufficiale.

Criminologia Penitenziaria (ISSN 2704-9094 Online). Numero 16E22 del 28/12/2022

Tecnologia e licenziamenti

Il caso odierno riguarda un lavoratore portoghese licenziato sulla base di un accertamento del suo comportamento effettuato dal datore di lavoro attraverso un dispositivo GPS (Global Positioning System). Ebbene, posto che ogni storia giudiziaria è diversa da tutte le altre, la sentenza oggi in esame giunge dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che ha ritenuto legittimo il licenziamento di un lavoratore sottrattosi all’onere di rimborso delle spese spettanti al datore di lavoro.

La questione giuridica presa in considerazione è se i giudici nazionali del Portogallo abbiano correttamente valutato il conflitto dei diritti contrapposti, cioè da una parte il diritto del lavoratore al rispetto della sua vita privata e dall’altra il diritto del datore di lavoro «al corretto funzionamento della sua attività, compreso il diritto di controllare le spese derivanti dall’uso dei suoi veicoli».

Ciò premesso, il licenziamento del lavoratore fu ritenuto legittimo in tutti i gradi di giudizio nelle sedi giurisdizionali portoghesi, sicché, infine, avendo l’interessato presentato ricorso alla Corte EDU, i giudici di Strasburgo – pur con risicata maggioranza, quattro voti contro tre, dopo aver ricordato che la nozione di “vita privata” è ampia e non si presta ad una definizione esaustiva, coprendo l’integrità fisica e morale di una persona e molteplici aspetti della sua identità fisica e sociale – hanno rilevato che il dispositivo GPS era stato installato sul veicolo che l’azienda aveva messo a disposizione del lavoratore per i suoi viaggi di lavoro, ma autorizzato anche all’uso del veicolo per fini privati a condizione che le spese relative ai chilometri percorsi per spostamenti privati fossero rimborsate al datore di lavoro. È inoltre emerso che il ricorrente aveva firmato il documento predisposto dal datore di lavoro che riguardava l’installazione di tale dispositivo e le ragioni di tale misura, specificando – stante il diritto di controllo delle spese – sull’avvio di un procedimento disciplinare nei confronti di «qualsiasi dipendente in caso di incongruenze tra i dati chilometrici forniti dal GPS e le informazioni fornite dai dipendenti».

Cosicché, chiosano i giudici della Corte EDU rispetto alle doglianze del lavoratore, non vi è stata né violazione dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (diritto al rispetto della vita privata e familiare), né dell’art. 6 della medesima Convenzione (diritto ad un processo equo), allorché il ricorrente sostenne che la procedura relativa al suo licenziamento si era basata solo sulla raccolta illegittima dei dati di geolocalizzazione accolti dai giudici nazionali. Mentre, al contrario, dalle sentenze si evince che il licenziamento non si è basato unicamente sui dati di geolocalizzazione contestati «ma su un corpus di prove, tra cui il fascicolo del procedimento disciplinare, la relazione tecnica della società informatica» e le dichiarazioni testimoniali (Corte EDU, Strasburgo, dicembre 2022).

Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 20A22 del 21/12/2022

La sociologia sovranazionale

Il titolo completo del volume è “La sociologia sovranazionale di Roberto Cipriani”, a cura di Costantino Cipolla, edizioni Franco Angeli, Milano, 2021, e “contiene numerosi contributi di eminenti studiosi che hanno avuto un ruolo internazionale di primo piano, sia con le loro ricerche che con le loro pubblicazioni, impegnandosi anche in attività organizzative e promozionali delle discipline sociologiche. In tali vesti hanno potuto sperimentare l’apporto offerto da Roberto Cipriani in qualità di sociologo sovranazionale, volto a far apprezzare l'approccio scientifico italiano riguardante le maggiori problematiche sociali”. Il video che segue ripropone la presentazione del volume che si è tenuta a Roma, venerdì 16 dicembre 2022, presso l’Istituto Luigi Sturzo.

Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 19A22 del 18/12/2022


Responsabilità del blogger

Concorre nel reato di diffamazione il blogger che consapevole della presenza di un commento offensivo pubblicato sulla sua piattaforma non lo rimuove quanto prima. Nel caso in esame, la Corte di Appello confermava la condanna in primo grado dell’imputato «alla pena di giustizia ed al risarcimento del danno per il reato di diffamazione, consistita nel consentire che venisse pubblicato e permanesse nel suo blog personale il commento di un utente non identificato» dove si accusava di vicinanza alla mafia alcune persone.

Sicché, «inquadrato in fatto la figura dell’amministratore del blog come soggetto che gestisce un mezzo che consente a terzi di interagire in esso tramite la pubblicazione anche in forma anonima di contenuti, commenti, considerazioni o giudizi e che il blog, pur essendo strumento di informazione non professionale» è comunque «idoneo a divulgare quegli stessi contenuti tra un vasto pubblico di utenti, che hanno, per le stesse caratteristiche del mezzo, la possibilità di accedervi liberamente», ne consegue che «la condotta contestata all’imputato ricade nella previsione incriminatrice del reato di diffamazione aggravata in quanto consumato con strumenti di pubblicità via internet». Su tali presupposti, quindi, anche «l’account personale di facebook diventa una pubblica piazza virtuale aperta al libero confronto, anche se solo tra gli utenti registrati, come in caso di un forum chiuso».

Perciò, non essendo i gestori di siti internet, blog e simili equiparabili ai direttori responsabili dei giornali, la responsabilità del fatto loro contestato deve «essere ricostruita in base alle comuni regole del concorso nel reato, oltre che per attribuzione diretta, qualora l’autore dello scritto denigratorio pubblicato sul blog sia il medesimo gestore».

E dunque, nel caso di specie, si è «delineata la possibile attribuibilità della diffamazione a titolo di concorso, individuato nella consapevole condivisione del contenuto lesivo dell’altrui reputazione, con ulteriore replica della offensività realizzata tramite il mantenimento consapevole sul blog dello scritto diffamante», e che «la mancata tempestiva attivazione del gestore del blog nella rimozione di proposizioni denigratorie costituisca adesione volontaria ad esse, con l’effetto a questo punto voluto di consentirne l’ulteriore divulgazione».

Infine, anche dal punto di vista dell’ipotesi difensiva circa la non punibilità per particolare tenuità della condotta dell’imputato, la stessa è stata esclusa in quanto i fatti contestati sono stati «giudicati di non modesto impatto, dando quindi conto della mancata esiguità del danno prodotto dal reato» (Cass. V Pen. Sent. 45680/22).

Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 18A22 del 10/12/2022

Differimento della pena

Quando il carcere appare come la soluzione migliore! Giustizia, pena e utilità del carcere. Un dibattito complicato che incontra e si scontra con populismo e demagogia che di fatto ostacolano il cambiamento reale ed efficiente dell’attuale sistema punitivo.

Ebbene, a mio avviso, il caso oggi in esame pone ulteriori questioni rispetto a quelle ordinarie di discussione. Infatti, in tema di differimento facoltativo della pena per motivi di salute nelle forme della detenzione domiciliare, il Tribunale di sorveglianza ha rigettato la richiesta di proroga del medesimo beneficio sia con riguardo al quadro sanitario compromesso del soggetto in espiazione pena, soprattutto sotto il profilo psichiatrico, peraltro assolto per «vizio totale di mente in ordine al reato di atti persecutori»; sia per l’inadeguatezza dell’immobile indicato per le espiazione detentiva domiciliare a causa delle condizioni di abbandono del medesimo; sia perché l’interessato non è nemmeno in grado di prendersi cura di sé con tendenza a gestire l’assunzione di farmaci in modo improprio sotto il profilo delle esigenze e dei dosaggi.

Ricorre il condannato per cassazione lamentando che il Tribunale di sorveglianza avrebbe trascurato di attribuire la giusta rilevanza al suo compromesso stato di salute e che comunque l’immobile nel quale stava trovando esecuzione la misura alternativa alla detenzione era fornito sia di energia elettrica sia di idonea struttura idrica.

Ricorso dichiarato inammissibile, in quanto per il «differimento facoltativo della pena detentiva o di concessione della detenzione domiciliare per grave infermità fisica, è necessario che la malattia da cui è affetto il condannato sia grave, cioè tale da porre in pericolo la vita o da provocare rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere un trattamento che non si possa facilmente attuare nello stato di detenzione, operandosi un bilanciamento tra l’interesse del condannato ad essere adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività».

Ciò posto, preso atto dell’incapacità della persona interessata di «provvedere a se stessa (come era stato già confermato dal giudice della cognizione, che aveva accertato un vizio totale di mente) e dell’inidoneità dell’abitazione nella quale eseguire la misura alternativa alla detenzione», il Tribunale di sorveglianza ha ritenuto che, allo stato, la detenzione in carcere costituisse «la soluzione più adeguata ad assicurare una migliore assistenza complessiva alla condannata, in assenza di altro luogo idoneo» (Cass. Sez. I Pen. Sent. 45183/22).

Criminologia Penitenziaria (ISSN 2704-9094 Online). Numero 15E22 del 02/12/2022