Il diritto ad avere diritti

Nell'anno 2018 pubblicai il libro dal titolo “Il diritto ad avere diritti. Dall’illuminismo all’ergastolo ostativo” (Morlacchi, Perugia), nel quale, tra altro, a proposito delle disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto (D.Lgs 28/2015), invitavo «a riflettere anche su un altro aspetto (...), vale a dire che ci si dovrebbe interrogare al fine di trovare soluzioni (...) nei casi in cui (...) nessuno “paga” per i propri reati (...). Vedasi l’esempio della non punibilità per particolare tenuità dell’offesa». Ed in taluni casi, sorge la domanda: «come può un legislatore (...) che ha a cuore l’interesse collettivo, stabilire per legge la non punibilità dal punto di vista della condanna penale di un soggetto già presupponendo che certi devianti non risponderanno mai per le loro malefatte nemmeno in termini di risarcimento economico del danno?» (cfr. Il diritto ad avere diritti. Dall’illuminismo all’ergastolo ostativo, pp. 125-126).

Ebbene, oggi, a distanza di anni da quelle ed altre mie modeste considerazioni, la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 538 del codice di procedura penale «nella parte in cui non prevede che il giudice, quando pronuncia sentenza di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131-bis del codice penale, decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno proposta dalla parte civile». Infatti: «la regola generale, posta dall’art. 538 cod. proc. pen., non deflette, non consentendo al giudice penale di pronunciarsi anche sulla pretesa risarcitoria o restitutoria della parte civile. Ciò rende la norma censurata contrastante con il principio di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.), per l’argomento a fortiori che può trarsi dalla comparazione con le fattispecie in cui non c’è l’absolutio ab instantia pur in mancanza di siffatto accertamento, vuoi perché il giudice penale è chiamato a pronunciarsi sulla domanda risarcitoria (o restitutoria) civile anche se non vi è una condanna penale, vuoi perché il giudizio prosegue comunque per la definizione anche solo delle pretese civilistiche; essa inoltre si pone in violazione del diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24, secondo comma, Cost.), nella specie della parte civile, la quale subisce la mancata decisione in ordine alla sua pretesa risarcitoria (o restitutoria) anche quando essa appare fondata e meritevole di accoglimento proprio in ragione del contestuale accertamento, ad opera del giudice penale, della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e della riferibilità della condotta illecita all’imputato nel contesto del proscioglimento di quest’ultimo ex art. 131-bis cod. pen. Infine, essa collide con il canone della ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, Cost.) a causa dell’arresto del giudizio che ne deriva, quanto alla domanda risarcitoria (o restitutoria), con soluzione di continuità rispetto a un nuovo giudizio civile, del cui promovimento è onerata la parte civile, anche solo per recuperare le spese sostenute nel processo penale» (Corte cost. Sent. 173/22).

Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 10A22 del 14/07/2022