Criteri del permesso di necessità

In materia di permessi di necessità concedibili al detenuto, l’art. 30 della legge sull’ordinamento penitenziario stabilisce, brevemente, che nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente ai condannati e agli internati può essere concesso il permesso per recarsi a visitare l’infermo, adottando le cautele previste dal regolamento. Similmente, in via eccezionale, analoghi permessi possono essere concessi per eventi familiari di particolare gravità.

Altrettanto in breve, l’art. 30-bis della stessa legge stabilisce che «prima di pronunciarsi sull’istanza di permesso, l’autorità competente deve assumere informazioni sulla sussistenza dei motivi addotti, a mezzo delle autorità di pubblica sicurezza, anche del luogo in cui l’istante chiede di recarsi».

Tuttavia, relativamente al caso oggi in esame, l’autorità giudiziaria adita negava il permesso chiesto dal detenuto, ristretto in regime di custodia cautelare in carcere, per partecipare al funerale e tumulazione della nonna, osservando che: «nonostante la tragica portata dell’evento, nella fattispecie non ricorre l’eccezionalità dell’esigenza posta a fondamento della richiesta e che l’unione spirituale con la nonna deceduta davanti alla tomba può ugualmente realizzarsi mediante il raccoglimento e la preghiera nei luoghi di culto del luogo di detenzione». Inoltre, nel provvedimento venivano evidenziati i rischi stante la spiccata pericolosità del detenuto.

Ebbene, tenuto conto della particolare gravità dell’evento, nonché della correlazione dello stesso con la vita familiare, il relativo accertamento circa la concedibilità o meno del permesso richiesto «deve essere compiuto tenendo conto dell’idoneità del fatto ad incidere nella vicenda umana del detenuto; mentre la gravità dei fatti commessi, o la pericolosità del condannato o dell’imputato, sono da valutare esclusivamente ai fini della predisposizione di apposite cautele esecutive».

Per tali ragioni, la decisione del giudice non deve concentrarsi tanto sul mero principio concessorio, «ma solo sulle modalità esecutive del permesso (...), proprio in vista della tutela delle rappresentate esigenze di sicurezza ed ordine pubblico, e possono includere (...) l’imposizione della scorta». Non da ultimo, «il  richiamo alla possibilità di una unione spirituale del detenuto con la nonna defunta all’interno dei luoghi di culto del luogo di detenzione risulta inconferente ed in contrasto con le finalità proprie dell'art. 30 Ord. pen.» (Cass. I Sez. Pen., Sent. 20515/22).

Criminologia Penitenziaria (ISSN 2704-9094 Online). Numero 10E22 del 27/05/2022

Licenziamento e Statuto dei lavoratori

Con ordinanza del Tribunale ordinario, Sezione lavoro, è stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 7, secondo periodo, della Legge n. 300/1970 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), così come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), Legge n. 92/2012 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita); per violazione degli artt. 1, 3, 4, 24 e 35 della Costituzione, nello specifico, «nella parte in cui prevede che, in caso di insussistenza del fatto, per disporre la reintegra occorra un quid pluris rappresentato dalla dimostrazione della “manifesta” insussistenza del fatto stesso», posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Ebbene, premesso che nell’attuazione dei principi sanciti dagli artt. 4 e 35 Cost., il giudice è chiamato a ponderare la particolarità di ogni vicenda, individuando ogni volta la tutela più efficace, tuttavia, al fatto concreto si devono ricondurre l’effettività e la genuinità della scelta imprenditoriale, senza «sconfinare in un sindacato di congruità e di opportunità».

Perciò, nell’ambito del licenziamento economico, la previsione del carattere “manifesto” di una insussistenza del fatto, già da se presenta profili di irragionevolezza intrinseca, con la conseguenza che «il requisito della manifesta insussistenza demanda al giudice una valutazione sfornita di ogni criterio direttivo e per di più priva di un plausibile fondamento empirico». Ovvero: «non solo il riferimento alla manifesta insussistenza non racchiude alcun criterio idoneo a chiarirne il senso», ma «esso entra anche in tensione con un assetto normativo che conferisce rilievo al fatto e si prefigge in tal modo di valorizzare elementi oggettivi, in una prospettiva di immediato e agevole riscontro».

In sintesi, facendo leva su un requisito indeterminato, la disposizione censurata si riflette sul processo di cognizione complicandone «taluni passaggi, con un aggravio irragionevole e sproporzionato», che impegna altresì «le parti, e con esse il giudice, nell’ulteriore verifica della più o meno marcata graduazione dell’eventuale insussistenza». Sicché, per tali ragioni, è costituzionalmente illegittimo l’art. 18, settimo comma, secondo periodo dello Statuto dei lavoratori, limitatamente alla parola «manifesta» (Corte Costituzionale, Sent. 125/22).

Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 07A22 del 20/05/2022

Trattamenti sanitari in carcere

Secondo prevalente orientamento giurisprudenziale, «i trattamenti sanitari nei confronti del detenuto sono incoercibili ma, se potenzialmente risolutivi di condizioni di salute deteriori, in forza delle quali il detenuto medesimo chiede il differimento della pena, o una misura alternativa alla detenzione, la loro accettazione si pone come condizione giuridica necessaria alla positiva valutazione della relativa richiesta». Questa la motivazione rispetto al (vano) ricorso proposto in sede di legittimità da un detenuto al quale il Tribunale di Sorveglianza aveva rigettato l’istanza di differimento della pena, anche nelle forme della detenzione domiciliare, alla luce della sua condizione di salute.

Infatti, il Tribunale, dando atto che il soggetto aveva sia ripetutamente rifiutato la terapia antiretrovirale prescritta dai sanitari – benché avvisato dei relativi rischi –, sia ritardato le analisi cliniche indispensabili per monitorare il proprio stato di salute, non era stato posto nella condizione di valutare il differimento dell’esecuzione della pena in quanto il principio per l’applicazione di tale misura «si  fonda su requisiti specifici, tra i quali la mancata risposta alle terapie».

Perciò, considerato che in tema di differimento della pena, facoltativo oppure obbligatorio, ex artt. 146 e 147 Codice penale, la norma permette o impone il benefico «soltanto con riferimento alle gravi condizioni di salute del soggetto», ne consegue che l’assenza di terapie e controlli impediscono di accertare se ricorre la condizione contemplata dalla norma stessa, vale a dire, come nel caso in esame, se la condizione di AIDS conclamata sia in una fase così avanzata tale da non rispondere più ai trattamenti disponibili ed alle terapie curative.

Situazione, quindi – come in premessa indicato e qui, in conclusione, è bene ri-sottolineare –, se da un lato i trattamenti sanitari nei confronti dei detenuti sono “incoercibili”, dall’altro se i medesimi sono «risolutivi di condizioni di salute deteriori, in forza delle quali il detenuto medesimo chiede il differimento della pena, o una misura alternativa alla detenzione, la loro accettazione si pone come condizione giuridica necessaria alla positiva valutazione della relativa richiesta» (sottolineatura aggiunta); non rilevando nemmeno la natura dei reati per i quali il soggetto espia la pena, in quanto principio giuridico non previsto dagli artt. 146 e 147 cod. pen. (Cass. I Sez. Pen. Sent. 17180/22).

Criminologia Penitenziaria (ISSN 2704-9094 Online). Numero 09E22 del 10/05/2022