Premesso che unitamente ai valori e norme culturali, anche i comportamenti e le pratiche variano considerevolmente da una cultura all’altra, nonché, letta la Direttiva 2000/78 del Consiglio dell’Unione europea del 27 novembre 2000, la quale stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – tenuto quindi conto che l’Unione europea si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto, principi comuni a tutti gli Stati membri; che il diritto di tutti all’uguaglianza dinanzi alla legge e alla protezione contro le discriminazioni costituisce un diritto universale riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo; ed inoltre, che la discriminazione basata su religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali può pregiudicare il raggiungimento di un elevato livello di occupazione e di protezione sociale –, ebbene, a proposito di valori e norme culturali, la Corte di Giustizia UE ha dichiarato che le disposizioni di cui la Direttiva 2000/78, qui in premessa accennate, devono essere interpretate «nel senso che una differenza di trattamento indirettamente fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, derivante da una norma interna di un’impresa che vieta ai lavoratori di indossare sul luogo di lavoro qualsiasi segno visibile di convinzioni politiche, filosofiche o religiose, può essere giustificata dalla volontà del datore di lavoro di perseguire una politica di neutralità politica, filosofica e religiosa nei confronti dei clienti o degli utenti, a condizione che, in primo luogo, tale politica risponda ad un’esigenza reale di detto datore di lavoro, circostanza che spetta a quest’ultimo dimostrare prendendo in considerazione segnatamente le aspettative legittime di detti clienti o utenti nonché le conseguenze sfavorevoli che egli subirebbe in assenza di una tale politica, tenuto conto della natura delle sue attività o del contesto in cui queste ultime si iscrivono; in secondo luogo, che detta differenza di trattamento sia idonea ad assicurare la corretta applicazione di tale politica di neutralità, il che presuppone che tale politica sia perseguita in modo coerente e sistematico e, in terzo luogo, che detto divieto si limiti allo stretto necessario tenuto conto della portata e della gravità effettive delle conseguenze sfavorevoli che il datore di lavoro intende evitare mediante un divieto siffatto» (cfr. Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, 15 luglio 2021, n. C-804/18 e C-341/19).
Il caso in esame ha riguardato la decisione di una educatrice specializzata di indossare il velo islamico durante le ore di servizio, alle dipendenze di una società, dichiaratasi apartitica e aconfessionale, che gestisce molti asili nido in un Paese dell’Unione europea.
Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 11A21 del 24/07/2021