Nel caso oggi in esame, il Tribunale di sorveglianza rigettava la richiesta di un detenuto finalizzata ad ottenere il beneficio del differimento facoltativo della pena, nella forma della detenzione domiciliare, in base, secondo le argomentazioni difensive, ad una conclamata gravità dello stato di salute del soggetto interessato, affetto, appunto, da gravi patologie e con ciò costretto su una sedia a rotelle e bisognevole di costante aiuto per tutte le mansioni di vita quotidiana. Rendendo, quindi, tali condizioni cliniche, sempre ad avviso della difesa, inumana la detenzione e preclusive circa la capacità di partecipazione consapevole al percorso rieducativo.
Ebbene, se da un lato la concessione della detenzione domiciliare, il differimento facoltativo e obbligatorio dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica e psichica sono istituti che si fondano sul principio costituzionale di uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge, senza distinzione di condizioni personali, e su quello secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato, ed inoltre su quello secondo il quale la salute è un diritto fondamentale dell’individuo; dall’altro, a fronte di una richiesta di differimento dell’esecuzione della pena o di detenzione domiciliare per gravi ragioni di salute, il giudice deve valutare se le condizioni di salute del condannato possano oggettivamente essere adeguatamente assicurate all’interno dell’istituto penitenziario o, comunque, in centri clinici penitenziari, e se esse siano o meno compatibili con le finalità rieducative della pena con un trattamento rispettoso del senso di umanità, tenuto anche conto della durata del trattamento e dell’età del detenuto, a loro volta soggette ad una analisi comparativa con la pericolosità sociale del predetto e alla possibilità che un eventuale rischio di recidiva, anche residuo, sia adeguatamente fronteggiabile con la detenzione domiciliare. Sicché, all’esito della valutazione dei fatti, il «giudice deve operare un bilanciamento di interessi tra le esigenze di certezza e indefettibilità della pena, nonché di prevenzione e di difesa sociale, da una parte, e la salvaguardia del diritto alla salute e ad un’esecuzione penale rispettosa dei criteri di umanità, dall’altra, al fine di individuare la situazione cui dare la prevalenza». Per cui, ai fini dell'accoglimento di un’istanza di differimento facoltativo dell’esecuzione della pena detentiva per gravi motivi di salute, non è necessaria una incompatibilità assoluta tra la patologia e lo stato di detenzione, ma «occorre pur sempre che l’infermità o la malattia siano tali da comportare un serio pericolo di vita, o da non poter assicurare la prestazione di adeguate cure mediche in ambito carcerario, o, ancora, da causare al detenuto sofferenze aggiuntive ed eccessive, in spregio del diritto alla salute e del senso di umanità al quale deve essere improntato il trattamento penitenziario» (cfr. Cassazione, Sez. I Pen. Sent. 26272/21).
Criminologia Penitenziaria (ISSN 2704-9094 Online). Numero 12E21 del 24/07/2021