Un fenomeno, quello dei social network e sostituzione di persona, presente sin dall’inizio della loro comparsa. Nel 2017 produssi un contributo dal titolo “I social network: tra comunicazione, interazione sociale e i limiti di manifestazione del proprio pensiero”, pubblicato in, “La reputazione in bilico. Rete e collasso dei contesti”, Morlacchi, Perugia (ISBN 9788860749215), nel quale anche se l’oggetto principale riguardava, appunto, i limiti della libera manifestazione del pensiero, e non specificamente i social network e sostituzione di persona, tuttavia, col caso oggi qui in esame delle analogie ve ne sono, se non altro sull’uso improprio di tali sistemi di comunicazione ed interazione sociale. Sicché, un soggetto veniva condannato alla pena di giustizia per aver creato un profilo social utilizzando l’immagine di altra persona (reato di sostituzione di persona e illecito trattamento di dati personali), all’insaputa di quest’ultima e dunque senza il suo consenso.
Ebbene, tralasciando le argomentazioni difensive, i giudici di legittimità hanno ribadito il principio secondo cui «la descrizione di un profilo poco lusinghiero sul social network evidenzia sia il fine di vantaggio, consistente nell’agevolazione delle comunicazioni e degli scambi di contenuti in rete, sia il fine di danno per il terzo, di cui è abusivamente utilizzata l’immagine», con la innegabile conseguenza che gli utilizzatori del servizio sono «tratti in inganno sulla disponibilità della persona associata all’immagine». Ed inoltre, a proposito del reato di illecito trattamento dei dati personali, lo stesso è «integrato dall’ostensione di dati personali del loro titolare ai frequentatori di un social network attraverso l’inserimento degli stessi, previa creazione di un falso profilo, sul relativo sito (…), posto che il nocumento che ne deriva al titolare medesimo s’identifica in un qualsiasi pregiudizio giuridicamente rilevante di natura patrimoniale o non patrimoniale subito dal soggetto cui si riferiscono i dati protetti oppure da terzi quale conseguenza dell’illecito trattamento».
V’è di più, allorché il profilo social della «persona offesa, in cui l’immagine stessa era postata, non può, infatti, qualificarsi come un luogo virtuale pubblico, in quanto protetto da particolari misure atte a non consentirne l’accesso se non a persone previamente selezionate dal titolare del profilo stesso» (cfr. Corte di Cassazione, Sez. V Penale, Sentenza 12062/21). Infine, aggiungo, per i più ostinati a comprendere la gravità sull’uso improprio in generale dei social, ed in particolare dei social network e sostituzione di persona, che le «doglianze in punto di condanna dell’imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di merito di primo e di secondo grado non tengono conto del principio secondo cui l’esercizio dell’azione civile nel processo penale realizza un rapporto processuale avente per oggetto una domanda privatistica, con la conseguenza che il regime delle spese va regolato secondo il criterio della soccombenza» (ibid).
Sociologia Contemporanea (ISSN 2421-5872 Online). Numero 05A21 del 07/04/2021