Con riguardo alla protezione delle donne vittime di violenza domestica, la CEDU (Corte europea dei diritti dell’Uomo), Prima Sezione, ha condannato il nostro Paese poiché per molto tempo resosi inerte di fronte tale situazione, al punto da sottostimarne la portata e relativa vulnerabilità psichica, fisica, morale e materiale della vittima. Infatti, con tale inerzia, non solo si è violato il dovere di protezione nei riguardi del soggetto interessato, ma, in qualche maniera, si è agevolato il comportamento del coniuge violento, spesso anche nei confronti della prole. Osserva la Corte che detta vulnerabilità è da ricondurre al più ampio concetto di tortura, così come indicato nell'articolo 3 della “Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali”, che così stabilisce: «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti». Cosicché, tale disposizione, si legge in sentenza: «non può essere considerata soddisfatta se i meccanismi di protezione previsti dal diritto nazionale esistono solo in teoria» (cfr. Caso Talpis c. Italia; Applicazione 41237/14; Strasburgo 2 Marzo 2017).