Il caso in esame ha riguardato la richiesta di un cittadino lituano, detenuto nel proprio paese, di poter accedere al sito internet istituzionale del “Ministero dell’Istruzione e della Scienza” del medesimo paese, precisando che, da cittadino detenuto, quindi impossibilitato a frequentare fisicamente le lezioni, intendeva proseguire gli studi a distanza per acquisire una seconda laurea. La richiesta del detenuto veniva respinta dalle autorità locali in quanto l'accesso a internet non era previsto dalla legislazione statale. Sulla base di quanto esposto, l’interessato lamentava la violazione del diritto di ricevere o comunicare informazioni senza interferenze da parte delle autorità. Ebbene, nel merito, la Corte europea dei diritti dell’uomo (quarta sezione), ha ribadito che «il pubblico ha il diritto di ricevere le informazioni di interesse generale» e che, di conseguenza, «il diritto di ricevere informazioni» vieta al Governo di impedire ad una persona di ricevere «le informazioni che gli altri volevano o erano disposti a impartire».
Tuttavia, nel caso di specie, il tema non riguardava il rifiuto dell’autorità a rilasciare le informazioni richieste, ma la richiesta del ricorrente (detenuto) ad accedere ad informazioni liberamente disponibili e di pubblico dominio, «pubblicate su un sito web appartenente al Ministero dell’Istruzione e della Scienza». La Corte ha accolto il ricorso riguardo proprio a tale diritto (cfr. Ricorso n. 21575/08, Strasburgo 17 gennaio 2017).
Riguardo a cosa accade nel nostro Paese, rimando ad altro mio contributo di prossima pubblicazione, nonché ad altri pubblicati in precedenza, proprio con specifico riferimento al tema della «rieducazione del condannato», così come stabilito nel terzo periodo dell’articolo 27 della Costituzione: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Argomento particolarmente complesso e non affatto scontato.