La Corte di Cassazione, respingendo il ricorso di una persona indagata per i reati di «Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone» (articolo 659 Codice penale) e «Getto pericoloso di cose» (articolo 674 Codice penale) – a seguito di esposto presentato da alcuni vicini di casa della stessa ricorrente, evidentemente infastiditi da rumori e cattivi odori originati da alcuni cani lasciati incustoditi nel giardino di casa –, ha chiarito che l’ipotesi di sequestro di animali tenuti in suddette circostanze è legittimo non solo in caso di maltrattamenti, ma anche laddove i medesimi risultino abbandonati in condizioni igieniche a dir poco pessime.
Scrivono i giudici in sentenza: «Questa Corte ha ripetutamente affermato che gli animali sono considerati “cose”, assimilabili - secondo i principi civilistici - alla res, anche ai fini della legge processuale, e, pertanto, ricorrendone i presupposti, possono costituire oggetto di sequestro preventivo [...] La distinzione che la ricorrente propone - il sequestro preventivo dell'animale sarebbe possibile solo per tutelarlo contro i maltrattamenti e non in altri casi - non ha alcun fondamento normativo positivo. Al contrario [...] gli animali possono essere soggetti a confisca (nel caso contemplato dalla norma, obbligatoria) e, quindi, a sequestro preventivo».
Prosegue la sentenza: «Infine, anche il sentimento che la ricorrente prova verso i propri animali - un dato che ha una qualche rilevanza giuridica [...] - non impedisce la loro sequestrabilità: il legislatore, infatti, pur riconoscendolo, non ha ritenuto di trarne un divieto di sequestro al fine di evitare una sofferenza al padrone degli animali; cosicché - in un bilanciamento questa volta possibile, trattandosi tutti di interessi umani – tale sentimento non può che cedere rispetto a quelli tutelati dalle norme penali già menzionate. Il sequestro preventivo dei cani è pertanto legittimo: si tratta di cose pertinenti ai reati contestati la cui disponibilità da parte dell'indagata può protrarre la loro consumazione» (cfr. Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza n. 54531/2016, udienza e decisione del 20 ottobre 2016).