Qualche breve riflessione sulla patologia dell’immagine di sé. Quando ci si imbatte in soggetti con gravi criticità psicologiche è sempre estremamente complicato convincerli dello status in cui vertono e che dunque dovrebbero rivolgersi ad uno specialista. In genere tale loro condizione li rende insicuri e insoddisfatti di se stessi fino al punto di assumere atteggiamenti che mettono a rischio sia la vita familiare, sia quella socio-relazionale più in generale. Questi soggetti di solito raccontano bugie (più o meno gravi) allo scopo di apparire grandi, ovvero di tentare di far passare l’idea all'esterno di essere i primi in assoluto su tutto e su tutti. In sostanza amano sentirsi dire che si è bravi, buoni, generosi e che lavorano tanto. Allo stesso tempo questi soggetti fanno promesse che non riescono a mantenere e dunque alla fine sono costretti a ingannare gli altri e se stessi innanzitutto. È evidente quindi come questi personaggi riescano con estrema facilità a procurarsi nemici in ogni meandro della società. È altrettanto evidente che una patologia del genere è complessa e soprattutto di non facile guarigione, poiché di solito per la persona che ne è affetta l’idea stessa di curarsi si pone come un’intollerabile umiliazione tale da indurre rabbia, aggressività, manifesta confusione e in alcuni casi grave depressione. Casi del genere sono appunto classificati come “una patologia dell’immagine di sé”, vale a dire una patologia che in psicoanalisi assume il nome di “ideale dell’Io” (Freud 1914), cioè quel sentimento e quella percezione di se stessi che si vorrebbe avere per sentirsi adeguati alla situazione specifica e alla società più in generale. In conclusione, la patologia appena descritta è una miscela micidiale composta di tre elementi: megalomania (cioè la mania di grandezza); mitomania (ossia la mania di mentire a scopo di esaltazione psicologica di sé); narcisismo (che ha raggiunto e notevolmente oltrepassato il ragionevole limite di tollerabilità sociale).