In questi giorni è montata la polemica attorno alla Circolare ministeriale 7 ottobre 2014 a firma del Ministro dell’Interno recante oggetto «Trascrizione nei registri dello stato civile dei matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati all'estero», emanata a seguito di «alcuni provvedimenti sindacali che prescrivono agli ufficiali di stato civile di provvedere alla trascrizione dei matrimoni celebrati all'estero tra persone dello stesso sesso».
Ebbene, posto l’opportunismo politico che certi argomenti possono suscitare nei vari schieramenti, nel senso c’è chi ne rivendica la correttezza dell’atto, così come c’è chi lo critica, la sfera su cui cercherò, senza pretesa di esaustività, di porre attenzione è sul fatto che nel merito, così come richiamato dalla Circolare stessa, tali provvedimenti sindacali «non sono conformi al quadro normativo vigente». Leggi tutto
Tanto è vero che l’articolo 27, comma 1, della Legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), stabilisce che «La capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio sono regolate dalla legge nazionale di ciascun nubendo al momento del matrimonio». Già da sola questa norma porta a far riflettere sul fatto che sebbene valida la celebrazione del matrimonio secondo i principi giuridici di uno Stato straniero, per quanto riguarda invece l’ordinamento interno «l’ufficiale di stato civile ha il dovere di verificare la sussistenza dei requisiti sostanziali necessari affinché la celebrazione possa produrre effetti giuridicamente rilevanti». E dunque su questo punto pare evidente come ai sensi delle norme attualmente vigenti nel nostro Paese la diversità di sesso dei nubendi rappresenta un requisito necessario affinché il matrimonio produca effetti giuridici.
Non è tutto, perché la Corte costituzionale già nel 2010 fu chiamata a pronunciarsi sul riconoscimento del matrimonio nel nostro Paese tra soggetti di ugual sesso, che così si espresse: «Si deve escludere, tuttavia, che l’aspirazione a tale riconoscimento […] possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio. È sufficiente l’esame, anche non esaustivo, delle legislazioni dei Paesi che finora hanno riconosciuto le unioni suddette per verificare la diversità delle scelte operate. Ne deriva, dunque, che […] spetta al Parlamento, nell'esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette […] La norma, che ha dato luogo ad un vivace confronto dottrinale tuttora aperto, pone il matrimonio a fondamento della famiglia legittima, definita “società naturale” (con tale espressione, come si desume dai lavori preparatori dell’Assemblea costituente, si volle sottolineare che la famiglia contemplata dalla norma aveva dei diritti originari e preesistenti allo Stato, che questo doveva riconoscere). Ciò posto, è vero che i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere “cristallizzati” con riferimento all'epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei principi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi. Detta interpretazione, però, non può spingersi fino al punto d’incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata. Infatti, come risulta dai citati lavori preparatori, la questione delle unioni omosessuali rimase del tutto estranea al dibattito svoltosi in sede di Assemblea, benché la condizione omosessuale non fosse certo sconosciuta […] Si deve ribadire, dunque, che la norma non prese in considerazione le unioni omosessuali, bensì intese riferirsi al matrimonio nel significato tradizionale di detto istituto […] Il riconoscimento del diritto di sposarsi a coloro che hanno cambiato sesso, quindi, costituisce semmai un argomento per confermare il carattere eterosessuale del matrimonio, quale previsto nel vigente ordinamento […]».
Osserva ancora la Corte che oltre all'articolo 9 della Costituzione secondo cui «Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio» vanno considerate anche le disposizioni comunitarie secondo le quali «Uomini e donne in età adatta hanno diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali regolanti l’esercizio di tale diritto» (cfr. Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali. Articolo 12 - Diritto al matrimonio).
Pertanto, quello che sembra essere ragionevole definire il nocciolo della materia sta proprio nel fatto che sia il dettato costituzionale sia le disposizioni comunitarie sanciscono, e in maniera non equivoca, che l’esercizio del diritto di sposarsi è disciplinato dalle leggi nazionali, con la conseguenza, e termino, che fino a che il legislatore non ritiene di intervenire a modifica dell’attuale quadro giuridico, null'altro poteva fare il Ministro se non emanare la Circolare oggetto di tanto acceso dibattito, anzi, mi permetto di aggiungere, forse lo ha fatto anche con un po’ ritardo.