Le istituzioni religiose se considerate solo come agenzie di produzione di significati e non anche come forme associative aventi strutture gerarchiche e di potere come avviene in tutti gli altri sistemi sociali, hanno una funzione di mediazione dell’esperienza esistenziale, la quale, di per se, dovrebbe trascendere l’interesse meramente ideologico-dottrinale. Saint-Simon, Comte e Durkheim tendono a considerare l’elemento religioso come un elemento universale dell’animo umano, che occorre orientare in senso funzionale alla promozione della solidarietà sociale (cfr. Crespi, 2002). Mentre Weber, in termini generali, individua la funzione originaria del pensiero religioso quale risposta agli interrogativi fondamentali della vita umana (cfr. ibidem). Ebbene, a mio modo di vedere, su questi presupposti può avere ancor più senso compiuto il dettato costituzionale secondo cui: «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume» [cfr. Costituzione della Repubblica Italiana. Parte prima (Diritti e Doveri dei Cittadini). Titolo I (Rapporti Civili), articolo 19].