Alla base di un contrasto interpretativo insorto nella giurisprudenza di legittimità, le Sezione Unite Penali della Suprema Corte di Cassazione hanno individuato il discrimine fra il delitto di concussione e quello di indebita induzione, ritenendo, infatti, che «il primo reato sussiste in presenza di un abuso costrittivo del pubblico ufficiale attuato mediante violenza o minaccia, da cui deriva una grave limitazione della libertà di autodeterminazione del destinatario che, senza ricevere alcun vantaggio, viene posto di fronte all’alternativa di subire il male prospettato o di evitarlo con la dazione o la promessa dell’utilità»; mentre il secondo «consiste nell’abuso induttivo posto in essere dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio che con una condotta di persuasione, suggestione, inganno o pressione morale condizioni in modo più tenue la libertà di autodeterminazione del privato, il quale disponendo di ampi margini decisori, accetta di prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, nella prospettiva di un tornaconto personale. In altri casi «i criteri di valutazione del danno antigiuridico e del vantaggio indebito devono essere utilizzati nella loro operatività dinamica ed all’esito di una complessiva ed equilibrata valutazione del fatto» [cfr. Massimario Corte di Cassazione, Sentenza n. 12228 (24 ottobre 2013 – 14 marzo 2014)].