Un’orribile vicenda che vede come protagonista un padre che sopprime i suoi figli poiché, così riporta la stampa, in procinto di separazione dalla moglie la quale si era già trasferita con la prole a casa della sorella. Il motivo? Sembra che il marito non accettasse i cambiamenti della donna che aveva sposato e che per questo non riconosceva più. Di quali cambiamenti si parla? Entrambi musulmani, la donna si era integrata nel nostro Paese, trovato lavoro e si rifiutava di indossare il velo. Tutto questo avrebbe condotto l’uomo a premeditare il crimine per poi togliersi a sua volta la vita (gesto non riuscito), così dimostrerebbe una lettera trovata dai carabinieri in casa sua. Fin qui la cronaca, per il resto, la giustizia terrena farà il suo corso. Ebbene, quello che invece vorrei evidenziare è che gesta del genere non hanno nulla a che fare con il credo religioso come invece qualche “sommo giudice” della morale propala. Ora non è intenzione di quest’umile peccatore (cattolico cristiano) e studioso dei fenomeni islamici tenere una lezione sull’Islam, tuttavia voglio di seguito brevemente riassumere solo alcuni passaggi del Testo Sacro (Corano): Sura IV, An-Nisâ' (Le Donne). V. 29. “O voi che credete […], non uccidetevi da voi stessi […]”. V. 92. “Il credente non deve uccidere il credente, se non per errore […]”. V. 93. “Chi uccide intenzionalmente un credente, avrà il compenso dell'Inferno, dove rimarrà in perpetuo. Su di lui la collera e la maledizione di Allah e gli sarà preparato atroce castigo” (cfr. H. R. Piccardo, 2010). In questi versi emergono almeno due elementi: l’Islam vieta sia il suicidio sia l’omicidio. Ne deriva pertanto che l’omicida in esame null’atro è che un criminale, al di là dell’appartenenza religiosa.