La Corte Costituzionale, con una sentenza (per molti) a sorpresa, salva gli stipendi di magistrati e dei dirigenti pubblici. Infatti, decidendo su una serie di questioni di illegittimità costituzionale sollevate da molti Tribunali amministrativi ai quali altrettanti e più magistrati avevano fatto ricorso dichiarando l'incostituzionalità di alcune norme relative ai tagli alle loro retribuzioni, la Consulta ha ritenuto che tali disposizioni, proprio perché applicate solo a queste due categorie, ledono il principio di uguaglianza determinando così un irragionevole effetto discriminatorio. La decisione della Corte Costituzionale muove da una premessa dei ricorrenti - ed è questo il punto, dove rivolgo la mia attenzione - secondo la quale “Tale disciplina contrasterebbe, altresì, con gli artt. 3, 100, 101, 104 e 108, della Costituzione, in quanto realizzerebbe una irragionevole decurtazione del trattamento retributivo dei magistrati, il quale è caratterizzato da un automatismo legale, che si pone «come guarentigia idonea a garantire il precetto costituzionale dell’autonomia ed indipendenza dei giudici, valore che deve essere salvaguardato anche sul piano economico», con la conseguenza che una simile manovra obbligherebbe il magistrato (come singolo o come Ordine) a rivendicazioni economiche verso i pubblici poteri.”. Come da titolo di questa breve riflessione, un’argomentazione quella appena richiamata che solleva delle comprensibili perplessità. Nel senso che non mi sembra certo in assoluto che il trattamento economico dei magistrati abbia una qualche relazione diretta con la loro autonomia e indipendenza (cfr. Corte Costituzionale - Sentenza n. 223/2012 - Udienza Pubblica del 3.7.2012 - Decisione del 8.10.2012 - Deposito del 11.10.2012).